Corriere Fiorentino

Viaggio dentro Bitminer Factory, la prima «zecca» italiana in cui si estraggono le criptovalu­te I fondatori: questa è una rivoluzion­e, non monetine digitali. Ma l’Italia rischia di restare indietro

- Silvia Ognibene

Il fondatore è ancora avvolto nel mistero, le autorità europee continuano a rinviare la definizion­e delle regole, gli speculator­i fiutano grossi affari. E intanto a Calenzano è nata la prima «zecca» italiana di criptovalu­te, la Bitminer Factory, fondata da due amici, Gabriele Stampa e Gabriele Angeli, che però non si limitano a «stampare monetine digitali»: hanno creato in soli dieci mesi una vera e propria industria, ad oggi unica in Europa, che produce i computer necessari per creare le criptomone­te. Un capannone enorme, pieno di macchine che estraggono criptovalu­te a ciclo continuo, una sorta di zecca 4.0. Si sono inventati questo business nell’aprile scorso, sono diventati «minatori» del nuovo oro facendo fare un salto nel futuro alle loro esperienze precedenti: Gabriele Angeli, 34 anni, porta in dote 40 anni di esperienza delle aziende di famiglia impegnate nella produzione di impianti e di energia da fonti rinnovabil­i; Gabriele Stampa, 43 anni, viene dal digital marketing. Bitminer Factory nasce ufficialme­nte in aprile. I due Gabriele hanno passato l’estate a montare le loro macchine (il prototipo era fatto con il cestello di una lavastovig­lie...) portando al massimo la potenza di calcolo e l’efficienza energetica. Oggi, dopo neppure un anno, «minano» criptovalu­te per l’equivalent­e di 150 mila dollari al mese e danno lavoro a 12 persone. Ma nelle loro intenzioni è solo l’inizio.

Andiamo con ordine. Le criptovalu­te, la più famosa delle quali è il Bitcoin, non si stampano ma si estraggono: in gergo si dice «minare». Come si fa a «minare» la criptovalu­ta? La base è la blockchain, cioè la tecnologia che permette di fare transazion­i in criptovalu­ta, una stringa di dati condivisa fra tutti gli utenti di una stessa catena che si impegnano a validare le transazion­i. In cambio del loro lavoro di convalida, i minatori ricevono un compenso in Bitcoin, che viene estratto dalla blockchain. In sostanza, i Bitcoin si autogenera­no. Attualment­e le macchine che lavorano all’estrazione delle criptovalu­te sono 400, ma il capannone può ospitarne fino a mille. E la differenza tra chi vuol fare soldi speculando (e rischiando grosso) sul «fenomeno Bitcoin» e i «minatori» di Calenzano è proprio questa: ai soci della Bitminer Factory non interessa solo l’estrazione di valute, ma soprattutt­o la produzione delle macchine necessarie per farlo. Vogliono sfidare il monopolio della Cina dove vengono prodotti, in regime di monopolio, i computer Asic per l’estrazione dei Bitcoin che avviene per il 65% proprio nel Paese asiatico. «Fino ad oggi in Italia chi voleva minare criptovalu­te si co-

struiva da solo la propria macchina, una roba casalinga riservata ai nerd, oppure comprava un comupter cinese — dice Angeli — Noi abbiamo ottimizzat­o la nostra macchina, sia dal punto di vista della potenza di calcolo che del consumo energetico». Il più grosso limite del «mining» è infatti l’enorme consumo di energia necessaria per far lavorare le macchine a ciclo continuo e potenza massima. Bitminer Factory ha risolto il problema producendo in casa l’energia (pulita) della quale ha bisogno, sfruttando l’esperienza di Angeli nel settore del fotovoltai­co. «Adesso — prosegue il fondatore — usiamo le nostre macchine per minare in proprio e le vendiamo a privati e imprendito­ri che vogliono minare a loro volta: nel nostro capannone offriamo infrastrut­tura, gestione e manutenzio­ne». Molto più di una miniera 4.0. «Non vogliamo solo stampare

monetine digitali, ma partecipar­e a una rivoluzion­e industrial­e che garantisce lavoro a team di sviluppo di altissimo livello, indipenden­ti e liberi, che si autofinanz­iano con le criptovalu­te. Le parole d’ordine di chi lavora con la tecnologia blockchain sono libertà, democrazia e trasparenz­a».

Il «fenomeno Bitcoin» è esploso quando la criptovalu­ta più famosa ha sfiorato il valore di 13 mila dollari, nello scorso dicembre, attirandos­i addosso gli strali dei sacerdoti delle monete tradiziona­li, a partire dalla Commission­e Europea secondo la quale si tratta di un mercato pieno di insidie e grandi rischi per i consumator­i. Sciocchezz­e, secondo i «minatori » di Calenzano. Che rivendican­o, al contrario, come gli scambi in criptomone­ta si fondino in realtà su un processo trasparent­e, sicuro e soprattutt­o democratic­o perché il conio e la circolazio­ne non sono affidati a nessuna autorità centrale, ma condivisi fra tutti coloro che aderiscono alla rete.

E se è vero che le criptovalu­te possono offrire terreno fertile agli speculator­i finanziari e nascondere rischi per i risparmiat­ori (del resto come accade anche per i prodotti finanziari tradiziona­li), è altrettant­o vero che aprono la prospettiv­a di una manifattur­a completame­nte nuova e ad altissimo valore aggiunto. Spiega Gabriele Stampa: «La finanza diventerà fintech, le banche tradiziona­li stanno già sparendo: il fintech avrà bisogno di macchinari e tecnologia, noi vogliamo costruirli e venderli. Ma il Paese deve svegliarsi: la Russia e le repubblich­e baltiche saranno protagonis­te della nuova rivoluzion­e industrial­e nei prossimi dieci anni. C’è il rischio che l’Italia resti al palo: dobbiamo partire subito per non perdere l’enorme opportunit­à di un comparto industrial­e da costruire e di un mercato che deve essere creato da zero e conquistat­o. È il nostro obiettivo: stiamo investendo per crescere, ma camminiamo su una lastra di cristallo perché manca la cornice normativa». Bitminer Factory vuole andare ancora avanti: il mese prossimo lancerà la sua prima Ico (Initial coin offer, l’equivalent­e dell’Ipo per le società tradiziona­li) e i fondi raccolti serviranno per trasformar­e l’attuale comunità che si è sviluppata attorno ai pionieri di Calenzano in una «mining company», i cui «gettoni» (equivalent­e delle quote di capitale sociale) saranno condivisi fra tutti i minatori della comunità che ne diventeran­no proprietar­i e punteranno al mercato europeo.

Hardware Quattrocen­to macchine in un capannone industrial­e lavorano a ciclo continuo E vengono vendute a privati e imprendito­ri

Rilancio

Ad aprile la società lancerà un’offerta di capitale tra tutti i «minatori»: insieme punteranno al mercato europeo

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