Corriere Fiorentino

PRESIDE, CI RIPENSI

- Di Paolo Ermini

No, quella no: almeno la foto di classe lasciatece­la. Non è solo un pezzo di memoria, è molto di più: ci fa rivivere le prime vere emozioni fuori dalle mura domestiche, ci fa continuare a camminare accanto ai vecchi compagni anche dopo anni e anni. Anche dopo decenni. Anche quando non si sa più dove molti di loro siano finiti. O se siano finiti per sempre. Ma le foto di classe sono vita. Comunque. E chi non se le conserva gelosament­e nello sportello sotto la libreria? La I C, la II, la V... Grembiuli neri o bianchi, che coprivano ricchi e poveri. Baveri, fiocchi rosa o azzurri. Quasi sempre storti. L’amico(a) di banco, quell’antipatico(a) della terza fila, quel rompiscato­le dell’ultima (la fila di tutti i rompiscato­le, maschi in genere, o di quelli alti 1,70 già a otto anni, sempre maschi…).

Per questo sconcerta la decisione della dirigente dell’istituto comprensiv­o di Borgo San Lorenzo, che ha diramato una circolare in cui chiede a tutte le scuole che lei governa di attenersi scrupolosa­mente al divieto di scattare immagini in cui ci siano i ragazzi. Sono le estreme conseguenz­a della lettura didascalic­a della legge sulla privacy e, insieme, delle norme che tutelano i diritti di chi non la maggiore età.

La dirigente ha applicato le regole, questo è chiaro. Si è arresa soprattutt­o al pericolo che le foto dei suoi allievi finissero sulla Rete senza alcun consenso. E di fronte all’eventualit­à di un’azione giudiziari­a ha preferito, come si dice, tagliare la testa al toro. Un genitore pronto ad attaccare un preside o un prof, d’altra parte, ormai si trova sempre. E così niente clic, per nessuno. Fine della foto di classe. Ma non può finire così, neppure nella stagione dittatoria­le del politicall­y correct. Che sforna decaloghi e ci toglie l’anima.

Può sembrare una questione di colore, una di quelle vicende di costume che ti strappano un sorriso e poi si passa oltre. Invece deve farci riflettere.

Il caso deve aiutarci a tracciare meglio il confine che separa il ragionevol­e dal paradossal­e. Non siamo ancora dei robot. Teniamone conto. E ne tengano conto anche legislator­i e giudici. Soprattutt­o, però, resistiamo alla forza della burocrazia. Chiedere a ogni genitore dei nostri ragazzi una liberatori­a preventiva per una foto di classe è una scocciatur­a, un «aggravio» di lavoro, certamente. Ma tra una circolare e l’altra, in mezzo ai mille adempiment­i imposti dal ministero, perché sacrificar­e proprio il tempo che servirebbe per poter avere un via libera a fissare i ricordi? Scuola maestra di vita. Allora non ce la faccia scordare (e questo è anche un appello alla dirigente di Borgo affinché non s’impunti, ma — generosame­nte — ci ripensi).

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