PRESIDE, CI RIPENSI
No, quella no: almeno la foto di classe lasciatecela. Non è solo un pezzo di memoria, è molto di più: ci fa rivivere le prime vere emozioni fuori dalle mura domestiche, ci fa continuare a camminare accanto ai vecchi compagni anche dopo anni e anni. Anche dopo decenni. Anche quando non si sa più dove molti di loro siano finiti. O se siano finiti per sempre. Ma le foto di classe sono vita. Comunque. E chi non se le conserva gelosamente nello sportello sotto la libreria? La I C, la II, la V... Grembiuli neri o bianchi, che coprivano ricchi e poveri. Baveri, fiocchi rosa o azzurri. Quasi sempre storti. L’amico(a) di banco, quell’antipatico(a) della terza fila, quel rompiscatole dell’ultima (la fila di tutti i rompiscatole, maschi in genere, o di quelli alti 1,70 già a otto anni, sempre maschi…).
Per questo sconcerta la decisione della dirigente dell’istituto comprensivo di Borgo San Lorenzo, che ha diramato una circolare in cui chiede a tutte le scuole che lei governa di attenersi scrupolosamente al divieto di scattare immagini in cui ci siano i ragazzi. Sono le estreme conseguenza della lettura didascalica della legge sulla privacy e, insieme, delle norme che tutelano i diritti di chi non la maggiore età.
La dirigente ha applicato le regole, questo è chiaro. Si è arresa soprattutto al pericolo che le foto dei suoi allievi finissero sulla Rete senza alcun consenso. E di fronte all’eventualità di un’azione giudiziaria ha preferito, come si dice, tagliare la testa al toro. Un genitore pronto ad attaccare un preside o un prof, d’altra parte, ormai si trova sempre. E così niente clic, per nessuno. Fine della foto di classe. Ma non può finire così, neppure nella stagione dittatoriale del politically correct. Che sforna decaloghi e ci toglie l’anima.
Può sembrare una questione di colore, una di quelle vicende di costume che ti strappano un sorriso e poi si passa oltre. Invece deve farci riflettere.
Il caso deve aiutarci a tracciare meglio il confine che separa il ragionevole dal paradossale. Non siamo ancora dei robot. Teniamone conto. E ne tengano conto anche legislatori e giudici. Soprattutto, però, resistiamo alla forza della burocrazia. Chiedere a ogni genitore dei nostri ragazzi una liberatoria preventiva per una foto di classe è una scocciatura, un «aggravio» di lavoro, certamente. Ma tra una circolare e l’altra, in mezzo ai mille adempimenti imposti dal ministero, perché sacrificare proprio il tempo che servirebbe per poter avere un via libera a fissare i ricordi? Scuola maestra di vita. Allora non ce la faccia scordare (e questo è anche un appello alla dirigente di Borgo affinché non s’impunti, ma — generosamente — ci ripensi).