NUOVO INIZIO, SENZA RETORICA
C’è chi storce il naso di fronte alla svolta della Firenze calcistica dopo la morte di Astori. Sono scomparsi i rulli dei tamburi che annunciavano guerra ai Della Valle, la curva ha pensato solo a rendere omaggio al Capitano perduto (con una intensità straordinaria e uno stile unico), il club parla di ritrovata «vicinanza».
Storce il naso chi non ci crede fino in fondo, chi non sa capacitarsi di come improvvisamente il clima sia cambiato, chi preferisce le polemiche alla generosità, come se la generosità fosse un cedimento ai cliché del buonismo più deteriore. Eppure era tutto già scritto nella storia di questa città. Si litiga e si fa pace. Ci si divide e ci si riunisce. Ma mai a caso. Succede quando l’autorappresentazione quotidiana e compiaciuta dello scetticismo, più o meno di maniera, lascia il campo alla spontaneità dei sentimenti. Qualche flash della memoria: tutta la città in strada attorno a Papa Paolo VI nella notte di Natale dopo l’Alluvione, la grande fiaccolata in piazza della Signoria dopo la strage dei Georgofili. E poi i giorni nostri: c’era spontaneità nelle migliaia di fiorentini accorsi nella camera ardente a Coverciano, così come c’era nello sguardo sgomento dei Della Valle, o negli applausi ai giocatori della Juve accorsi qua per i funerali in Santa Croce dopo il trionfo londinese con il Tottenham. È successo, né più né meno, quello che a volte segna le vicende private di tanti di noi. I distacchi possono essere strappi che ti fanno pensare, guardare indietro e poi avanti, nuovi inizi che fanno volar via ipocrisie e pregiudizi. Senza un briciolo di retorica.
Non c’è retorica dietro una squadra che combatte, mettendoci testa e cuore, e che alla fine vince e abbraccia i tifosi con il saluto militare fatto da Vitor Hugo davanti alla maglietta con la foto di Astori per il primo gol dopo il suo addio. E non c’è retorica nelle parole di Cognigni che annuncia: la società non è più in vendita. Si tratta, piuttosto, di impegni. La sfida è tutt’altro che semplice. C’è da tradurre in atti concreti il moto di reciproca fiducia. Senza rinnegare niente, compresa la politica dei bilanci sani. Sapendo guardare lontano (al ritorno tra le grandi del calcio europeo, al nuovo stadio, e poi si vedrà), senza sottovalutare il presente: se lo spirito resta quello che s’è visto domenica sul campo del Toro può accadere anche ciò che fino a due settimane fa sembrava impossibile (però è meglio non dirlo). Tu chiamali, se vuoi, miracoli. C’è sempre un Thereau che sa guardare in alto al momento giusto.