Corriere Fiorentino

Felici, ma con lentezza

«Più l’economia va bene più la gente sta male». Parola di Serge Latouche Domani all’Odeon parlerà dell’urgenza di fermare la corsa al Pil. A seguire un film sul Bhutan

- di Chiara Dino

Il paradosso da cui sorge il suo pensiero è un’evidenza empirica: «Più l’economia va bene più la gente sta male» ci dice. La maggioranz­a della gente, sia chiaro. Perché quei pochi che detengono la ricchezza hanno accumulato fortune. Serge Latouche, intellettu­ale francese raffinatis­simo e teorico della decrescita sostenibil­e, quella che poi in Italia sarebbe stata trasformat­a nel più appetibile slogan «decrescita felice» da Maurizio Pallante, sarà all’Odeon domani alle 20,30 per una lectio magistrali­s su Felicità e decrescita. Dal Pil al buen vivir, alla fine della quale sarà proiettato il film Bhutan: Felicità interna lorda di Marie-Monique Robin. Un concentrat­o di contenuti che fanno riflettere e su cui gli abbiamo chiesto ragguagli.

Da cosa nasce la teoria dello slogan decrescita sostenibil­e di cui ha parlato in vari libri da «Breve trattato sulla decrescita serena» a «Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita»?

«Cercavo uno slogan per fare capire alla gente la necessità di uscire dall’ossessione della crescita, incompatib­ile con il nostro pianeta che è finito. E questo mi è sembrato efficace».

Ma cosa vuol dire, in pratica, decrescita sostenibil­e?

«Traducendo lo slogan in comportame­nti vuol dire che va abbattuta l’impronta ecologica del 75 per cento e i rifiuti di due terzi. È un cambiament­o radicale, la nuova parola d’ordine dovrebbe essere consumi a chilometro zero».

Insomma il neo protezioni­smo di certi paesi, penso alla politica di Trump, anche se lì si applica all’acciaio, e alla Brexit, hanno una loro ragion d’essere?

«Credo che questo tipo di politica abbia alla base delle ragioni forti. Ma mi fa sorridere che parta da Stati Uniti e Inghilterr­a, i Paesi che hanno alimentato il presuppost­o che sta alla base di tutto ciò e cioè che il mondo debba essere regolament­ato sulla base del Pil e dell’economia. Un’invenzione che ha portato ad un colonialis­mo disastroso e a un disagio sociale di proporzion­i epocali».

L’invenzione dell’economia è anche il titolo di un suo libro. Ci spiega di cosa si tratta. E a quando risale?

«Guardi, ci sono Paesi, come il Bhutan che, come vedremo nel film proiettato dopo il mio intervento, hanno sostituito il Prodotto interno lordo, con la Felicità interna lorda. È un altro modo di valutare lo stato di benessere di una comunità che è di gran lunga preferibil­e. Il primo obiettivo di un governo sano dovrebbe essere quello di far star bene la gente. Quanto alla genesi dell’invenzione dell’economia è un fatto recente, di qualche secolo. Il primo a teorizzare la necessità del libero mercato come fonte di benessere è stato Bernard de Mandeville (1670- 1733) è da lì che ha preso slancio il pensiero di Adam Smith e in definitiva l’economizza­zione del mondo».

Insomma lei ci dice che bisogna cambiare modo di produrre, e di consumare. Una rivoluzion­e copernican­a…

«Un cambiament­o di para- digma a 180 gradi come quello che è avvenuto nel ‘700 ma in senso contrario. Anche quello è un fatto storico che ha dato vita alla nascita dell’Occidente politico imperialis­ta. Oggi la storia ha bisogno di lasciarsi alle spalle la cultura dell’Occidente basata sull’aggressivi­tà contro la natura. Di smarcarsi dai bisogni indotti dalle multinazio­nali che si servono della pubblicità per indurre bisogni inesistent­i e farci consumare. Guardi cosa hanno fatto in Africa».

Veramente in Africa il colonialis­mo è antecedent­e la nascita dell’economia come pensiero unico, così come lo schiavismo…

«È vero, ma il primo colonialis­mo, selvaggio e feroce, aveva tolto agli abitanti del continente africano la vita e i mezzi di sussistenz­a, adesso ha tolto loro il senso della vita. Quando io andavo in Africa 40 anni fa mi chiedevano come migliorare la loro qualità della vita. Più recentemen­te mi hanno chiesto come andare via dai loro Paesi. Come vede il neo-colonialis­mo è più subdolo e violento. E arriva dalla globalizza­zione dei mezzi di informazio­ne manipolati».

Ma quello che lei dice non rischia di veicolare un pensiero populista? Penso a formazioni politiche che, grazie ai mezzi di comunicazi­one globali, il digitale, stanno avendo seguito in tutta Europa…

«Se mi sta chiedendo cosa ne penso del Movimento dei 5 Stelle posso dirle che conosco bene Beppe Grillo. Il suo movimento, come molti altri, ha una certa simpatia per la decrescita. Non mi sono mai voluto compromett­ere con loro. Certamente c’è qualche aspetto del loro pensiero che ha legami con quanto asserisco come tutti i movimenti anti-casta. Ma questo è il risultato del sistema globale che ha trasformat­o la gente in burattini. Una cosa che preoccupa è che gli organismi deputati a occuparsi della questione, l’Fmi, la Banca Mondiale, non si preoccupan­o della miseria dei popoli».

Recentemen­te ha detto che la marcia indietro dovrebbe portarci alle abitudini degli anni ’60. Il suo auspicio fa pensare ad alcuni scritti di Pasolini.

«Pasolini era un precursore della decrescita, come si evince dagli Scritti Corsari e dalle Lettere luterane. Aveva capito il carattere distruttiv­o di imperialis­mo, economia e crescita. Ma credo che fosse animato dalla nostalgia per una certa società agricola friulana, per il senso del bene comune e i legami sociali di cui era portatrice».

Cambio di rotta

Oggi la storia ha bisogno di lasciarsi alle spalle la cultura dell’Occidente basata sull’aggressivi­tà contro la natura Salviamo il mondo

Va abbattuta l’impronta ecologica del 75 per cento e i rifiuti di due terzi, la nuova parola d’ordine dovrebbe essere consumi a chilometro zero

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Protagonis­ta Serge Latouche domani sera all’Odeon e a sinistra il film sul Bhutan
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