Corriere Fiorentino

Alle vittime prometteva la Serie A «Tante voci, lo cacciai dal campo»

Ex allenatore, millantava conoscenze con club profession­istici

- Sharon Braithwait­e Gabriele Noli

Piero Costia, 75 anni, ha giocato a calcio per anni in varie squadre dilettanti­stiche della Toscana. E una volta appesi gli scarpini al chiodo, ha iniziato a girare per i campi delle squadre della provincia di Pisa, dicendo di essere un talent scout di una società di serie A.

Forte della conoscenza dell’ambiente calcistico, negli ultimi otto anni è riuscito ad adescare quattro giovani vittime nella sua trappola (almeno questi sono i casi accertati). Usava sempre la stessa trappola: la promessa di un provino in una squadra profession­istica. Il sogno di tutti i ragazzini che guardano passare in tv le immagini di Messi e Ronaldo. A finire nella sua rete, spiega il capo della squadra mobile Rita Sverdiglio­zzi, «stranieri in situazioni di disagio socio-economico che all’epoca delle violenze sessuali avevano all’incirca tredici anni, dei bambini. L’orco li ha incontrati al parco, per strada, sulla panchina, promettend­o loro un ingresso nel mondo del calcio. E quando questo sogno non si avverava li attirava con l’acquisto di un gelato, una sigaretta».

Costia è molto conosciuto in periferia e la notizia del suo arresto ha generato scompiglio nei club dilettanti­stici della città, i cui titolari sono stati ascoltati dalla Questura nelle ultime settimane: «Sì, lo conosciamo, diceva di essere un osservator­e, millantava contatti con società di alto livello senza specificar­e quali. Era noto a tutti col soprannome “la pea”», dice un uomo che preferisce rimanere anonimo.

Il gestore di un’associazio­ne sportiva dilettanti­stica della periferia di Pisa racconta che «si è presentato al mio campo per tre volte nel 2015, sono stato l’unico a buttarlo fuori perché sul suo conto correvano voci che non mi piacevano. La prima volta mi disse che era venuto a vedere il nipote giocare, la seconda a salutare un amico e la terza gli ho detto chiaro e tondo che non aveva titoli per essere nella mia struttura e che se l’avessi rivisto lì lo avrei preso a calci nel culo fino a sfondarlo. Bisognereb­be avere il coraggio di denunciarl­e queste cose, non si può aspettare la morte di un ragazzo di diciannove anni».

Il riferiment­o è a Nicolay Vivacqua, morto il 21 dicembre scorso, investito da un treno dopo aver dato fuoco all’auto di Costia. «Era un bravo ragazzo, con problemi emotivi. L’arresto di ieri spiega molte cose». E in questo quadro ri-

suonano ancora più angosciant­i le parole pronunciat­e da don Roberto ai funerali di Nicolay. «Avevo sollecitat­o un momento di silenzio perché troppe chiacchier­e erano state dette su questo giovane, senza neanche conoscerlo — afferma il sacerdote — non mi aveva confidato questa terribile cosa. Nicolay portava dentro un’inquietudi­ne, cercava un equilibrio affettivo, era inevitabil­e che qualcuno si approfitta­sse della sua debolezza. Era bistrattat­o e incompreso, ma voleva mettere ordine nella sua vita. In passato una persona abominevol­e lo aveva importunat­o, nell’omelia mi riferivo anche a questo. Questa notizia dà giustizia a Nicolay, lo riscatta, quel gesto era un grido di ribellione». Gli inquirenti temono che ci possano essere altre vittime e lanciano un appello: «Denunciate».

Il capo della Mobile «Adescava stranieri intorno ai 13 anni in situazioni di disagio socio-economico. Li individuav­a per strada o al parco»

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