Noi, la voce di Astori
Intervista con Stefano Pioli La tragedia di Udine, la reazione, il futuro: «Senza Davide è dura, ma vogliamo fare qualcosa di molto importante per lui Viviamola tutti come una grande occasione»
Prima e dopo. La stagione della Fiorentina ruota tutta intorno a questi due avverbi. E la linea di confine è la mattina del 4 marzo. Hotel Là di Moret, Udine: «In ritiro — racconta Stefano Pioli — ho le mie abitudini, mi sveglio sempre presto e massimo alle 7.30 sono a fare colazione: preparo la partita, penso a cosa dire alla squadra, per motivarla ancora di più. Ricordo che mi aveva appena telefonato mia figlia Carlotta. Poi mi hanno chiamato il dottor Pengue e il team manager Marangon: “Scendi, scendi subito”. Sono arrivato davanti alla stanza numero 118 in pigiama, Sportiello era già lì: “Mister, Davide se n’è andato”. Ma ancora non avevo compreso fino in fondo la tragedia: poi, aprendo la porta, ho visto Marangon e Pengue che piangevano e Astori lì, fermo nel suo letto. Sembrava che dormisse, non era così».
A venti giorni di distanza, il peso dell’assenza è ancora forte. Ma la voce di Pioli trasmette serenità. Come se il fiume in piena delle emozioni (e del dolore) fosse tornato negli argini. E continuasse il cammino verso il mare. «Il momento più difficile — confessa l’allenatore della Fiorentina — è stato il giro di tutte le camere per comunicare cos’era successo al resto della squadra: è una cosa che non auguro a nessuno».
Poi, dopo sette giorni, siete tornati a giocare. Che vi siete detti negli spogliatoi alla fine della partita col Benevento?
«Ci siamo guardati e ci siamo abbracciati, in silenzio: non c’era bisogno di parole. Eravamo tutti sollevati dopo una settimana che pensavamo fosse impossibile da superare».
Da quel momento è come se fosse nata una nuova Fiorentina...
«È stata una cosa fortissima, enorme. Inizialmente ho temuto per i miei giocatori. Al martedì, alla ripresa degli allenamenti, è stata dura. Tanti dei nostri giovani forse non si erano ancora resi conto di quello che era successo. Spogliarsi, lavorare, allenarsi senza Davide quel pomeriggio ha creato un senso di vuoto in tutti noi. Ho iniziato io a parlare, poi ho chiesto a chi se la sentisse di dire qualcosa: tutti quelli che l’hanno fatto mi hanno detto “vogliamo portare avanti i valori che ci ha trasmesso Davide, vogliamo farlo per lui. Per riconoscenza e affetto”. In quel momento ho capito che avremmo avuto la forza per ricominciare, ho capito che era scattato qualcosa: personalmente però io faccio ancora fatica a fare senza di lui. Con Astori c’era simbiosi, mi manca non sentire la sua voce in campo».
Com’è nato il saluto militare al Capitano?
«Quello di Vitor Hugo credo sia stato un gesto spontaneo, nato dal momento. A Torino invece avevamo già deciso di metterci sugli attenti: è stato il nostro modo per ricordare Davide insieme ai nostri tifosi».
La morte di Astori ha creato un’unione tra città e proprietà che non si vedeva da tempo. I tifosi hanno apprezzato la discrezione e la presenza con cui i Della Valle hanno partecipato a quei giorni di lutto: può essere un nuovo inizio?
«Io la vedo come un’occasione. Per la società, per la città, per tutti noi. Da questa tragedia che stiamo vivendo, dobbiamo tirar fuori qualcosa di positivo per il futuro, perché solo la compattezza e la passione potranno farci ottenere risultati importanti. Attenzione però, non parlo delle critiche: quelle nel calcio sono normali, fanno parte del gioco. Un conto però è remare dalla stessa parte, un altro è approfittare di qualche sconfitta per rompere tutto. Capisco che la loro lontananza fisica possa aver dato fastidio, ma Diego e Andrea li ho sempre sentiti presenti, sempre interessati alla squadra. Creare qualcosa di nuovo da parte nostra dovrà significare essere chiari su quello che possiamo e dobbiamo fare. Conosco Firenze e non avevo bisogno di vedere le diecimila persone in piazza Santa Croce per ammirarla: Davide ci ha insegnato che con serietà e serenità si possono fare grandi cose. E noi possiamo farle».
A Saponara invece cosa è successo? Dopo la morte di Astori è diventato un punto di riferimento della squadra.
«Non so dire se c’entri Davide, di sicuro dopo Udine si è allenato come mai aveva fatto prima. L’ho visto bene, l’ho messo in campo e lui ha risposto da giocatore importante. Inizialmente ha pagato gli infortuni e le mie scelte tecniche, ma ora è pronto. Giocare con lui sulla trequarti ci consente di utilizzare un modulo “sporco”, che non dà riferimenti agli avversari. Ricky sta al centro, Biraghi e Veretout si dividono la fascia sinistra e Benassi si butta negli spazi. Mi piace l’idea di una squadra dinamica, i moduli per me sono secondari».
Torniamo un attimo al prima. Cosa andava e cosa no nella sua Fiorentina?
«Nel prima c’è tanto lavoro, tantissimo lavoro. Abbiamo lasciato per strada molti punti, sbagliato 3-4 partite. Con Atalanta, Milan e Inter, abbiamo raccolto molto meno di quanto meritassimo. Il nostro è stato un lavoro profondo, di conoscenza e assemblaggio. Inizialmente ho penalizzato qualche giocatore in nome della continuità, perché serviva per dare un’idea comune al gruppo. Le mie squadre ci mettono sempre un po’ per assimilare i concetti di gioco, è un processo di apprendimento normale quando si cambia tanto. Già da qualche settimana comunque vedo una squadra che sa cosa voglio, in campo e fuori. Ora posso dire di essere in grado di sfruttare al massimo le nostre potenzialità».
Quali aspettative ha per questo finale di stagione?
«Mi aspetto tanto, innanzi tutto perché credo, anzi sono sicuro, che la squadra darà il massimo fino alla fine. Per la nostra classifica saranno decisive le prossime 3 settimane: neli primi venti giorni giocheremo addirittura sei volte e dovremo essere bravi a dosare le forze. Abbiamo un calendario equilibrato, ma dovremo pensare a una partita per volta. Stiamo rincorrendo un’ipotetica posizione per l’Europa, quindi prima di tutto siamo costretti a sperare che le altre rallentino: dubito però che Atalanta e Sampdoria topperanno il finale di stagione. Noi comunque stiamo
I Della Valle ci sono sempre stati vicini. Con serietà e serenità si possono fare buone cose: Davide ce l’ha insegnato