Appalti truccati Riciclati a Lucca i soldi dei clan
Arrestati due imprenditori vicini al clan dei Casalesi. I lavori a Napoli? Quasi mai eseguiti
Lavori pubblici per milioni di euro mai eseguiti, con i soldi degli appalti che venivano riciclati in aziende toscane e campane. È l’accusa nei confronti di un’organizzazione vicina al clan dei Casalesi con base a Lucca sgominata dalla Guardia di Finanza, che ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di cinque persone.
Avevano messo in piedi un sistema per accaparrarsi gli appalti nella sanità a Napoli, lavori in gran parte mai eseguiti, e per riciclare i soldi in aziende toscane. Ieri, su richiesta della procura antimafia di Firenze che ha coordinato le indagini della Guardia di Finanza di Lucca e di Caserta, sono finiti agli arresti cinque persone, quattro imprenditore casertani — due dei quali vivevano in Toscana — e un dirigente della Asl 3 di Castellammare di Stabia: in carcere sono finiti gli imprenditori Alfredo De Rosa, 43 anni, residente a Lucca, Feliciano Piccolo, 51 anni, mentre i domiciliari sono scattati per Leonardo Piccolo, 43 anni, residente a Montecarlo di Lucca e Vincenzo Ferri, 38 anni.
Sotto sequestro sono finiti beni per circa 6 milioni di euro nei confronti di 30 aziende in mano a imprenditori e prestanome vicini al clan dei Casalesi.
Gli imprenditori Alfredo De Rosa e Feliciano Piccoli sono stati indicati dai collaboratori di giustizia come a disposizione dei clan, pronti a fornire aiuto quando richiesto.
Le indagini coordinate dal procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo e dal sostituto Giulio Monferini hanno scoperto che i titolari delle imprese edili — società che venivano aperte e rapidamente chiuse — incrociavano l’attività imprenditoriale di edilizia residenziale nella provincia di Lucca con appalti pubblici. Con l’Asl di Napoli 3 a partire dal 2012 si sono accaparrati appalti per un valore complessivo di 3 milioni e 750 mila euro.
Tra gli indagati c’è anche un avvocato di origine campana, con studi di consulenza del lavoro a Salerno e Follonica. L’uomo, secondo l’accusa sarebbe una sorta di contabile del gruppo criminale, avrebbe assicurato la formale regolarità delle attività imprenditoriali e della contabilità relativa agli appalti. Inoltre avrebbe garantito la formale regolarità degli operai al lavoro nei cantieri, spesso mai allestiti, che venivano assunti in maniera fittizia.
Il denaro veniva poi riciclato attraverso l’acquisto, la ristrutturazione o la costruzione di edifici da parte di società con sede in provincia di Lucca e Grosseto.
«Il sistema “casalese” è tutt’altro che defunto — ha detto Cesare Sirignano, procuratore della direzione nazionale antimafia — anzi, è vivo e vegeto. Si conferma il triangolo riciclaggio, corruzione e mafia. Nelle imprese del Centro Nord, intestate a parenti lontani e incensurati dei vertici del clan, confluiscono appalti attraverso la corruzione di funzionari pubblici».