Con Alba Donati nella sua casa dell’infanzia «Piena di luce e di poesia»
«Amo tornare tra queste montagne. Apro la finestra e sparisce la paura del nulla»
Non c’è gesto più intimo del varcare l’uscio di una casa. Non una casa qualunque, ma quella che più di ogni altra parla di noi, perché è il nostro rifugio. Non sempre è quella dove abitiamo. Ma sempre è quella che svela la nostra parte più vera. Ecco perché abbiamo deciso di dedicare dei reportage allo spazio privato di alcuni toscani. Iniziamo questo viaggio a casa della poetessa Alba Donati.
C’è chi riesce a far pace con le proprie memorie e chi no. In genere del primo gruppo fanno parte le donne: è un dato statistico. Tra queste non fa eccezione Alba Donati, poetessa, animatrice della scuola di scrittura e linguaggi Fenysia e presidente del Gabinetto Vieusseux. Lei ha preso l’ingombrante valigia dei suoi ricordi bambini, l’ha trasformata in versi e ne ha fatto la materia per ridare vita alla casa da cui era scappata più di 40 anni fa, con una formula che è lì sotto i nostri occhi incantati: una piccola dimora di pietra che non ha più nulla dei lontani anni ’70, (piccoli spazi angusti, un bagno che per trovarlo bisognava andare in cantina, semplici cose di una casa semplice e povera, ruvida e vera) e dove la divisione dei suoi spazi, gli arredi e i colori sono del tutto rivoluzionati, curatissimi, scelti e un po’ shabby chic. E però conserva le cose essenziali: il suo sapore, la sua più arcaica identità sono intatte. Guardi le foto di prima le confronti con l’oggi e qualcosa non torna. Anzi torna: rispecchia il processo di trasformazione di quella valigia zeppa di memorie, un processo di riappacificazione.
Alba Donati è nata all’inizio degli anni ‘60 a Lucignana (frazione di 150 abitanti di Coreglia Antelminelli, in provincia di Lucca), un paesino di pietra su uno sperone di roccia a 600 metri nella valle del Serchi0. La terrazza della sua casina, fatta di silenzi e di luce, si affaccia sull’Appennino di qua e sulle Apuane di là, da quell’apertura su distese immense di boschi di lecci intravedi, dietro al comignolo del camino, il biancore dei monti che, no, non è neve ma marmo, marmo bianco delle cave. Dal lato opposto, abbarbicato un poco più in alto, c’è l’eremo di Sant’Ansano, costruito circa mille anni fa, oggi chiuinveste
so, ma se fate amicizia con qualche lucignanese, gente curiosa e ciarliera, state sicuri che le sue chiavi verranno fuori e tra le sue stanze riuscirete a entrare.
«Questo paese si chiama così — ci spiega Alba mentre depone tre mazzi di tulipani screziati di giallo e arancio dentro un vaso di ceramica bianca — perché prende luce in ogni sua parte. È costruito come una spirale e il sole lo ora qui ora lì in ogni ora del giorno». Pausa. Poi aggiunge orgogliosa: «È l’unico in Toscana dove neanche uno dei suoi abitanti, durante il Ventennio, si iscrisse al Partito Fascista». Alba qui c’è nata («anzi a Lucca dove c’è l’ospedale più prossimo») e ci ha vissuto fino alla terza media. Poi è andata via un po’ per fame di vita, di libri, di nuovi orizzonti, un po’ per sfuggire ai continui litigi, tra la sua mamma e il suo babbo, che sarebbero sfociati in una definitiva separazione. «Volevo studiare al linguistico — aggiunge — quando lo dissi a mio padre lui si affannò a cercare il liceo giusto stando fisso al telefono in quella cabina che c’era in fondo alla valle, al Ponte del Diavolo». Fu così che a tredici anni Alba arrivò a Firenze, in collegio, per restare qui e qui costruire la sua vita e la sua famiglia oggi fatta di donne: vive con la mamma e la figlia Laura su uno dei lungarni della nostra città. Il compagno Pierpaolo è una presenza discreta che condivide con lei la passione per Lucignana e i suoi immensi silenzi ma abita altrove.
In questa casa, dove ci ha portato in un giorno di primavera, quando ancora scende qualche goccia di pioggia Alba ha scritto tutte quante le sue ultime poesie. Le leggeremo tra un paio di settimane nella raccolta che sta per uscire per i tipi de La Nave di Teseo e che s’intitola Tu paesaggio dell’infanzia - Tutte le poesie 1987-2018. Un manifesto esistenziale dove, come se fossero memorie recanatesi di stanza in Toscana, Alba decanta «la magia che detiene il paesaggio dell’infanzia» con «l’azzurrino del Prato fiorito»; la potenza del gesto «di aprire la finestrella bianca e antica che fa svanire ogni mattina la paura del nulla»; la sua speciale dedizione per il mondo di piante e di fiori che ogni tanto sconfina in «paura di essere una cattiva giardiniera,
una che può uccidere senza sapere come»; e in fin dei conti tutto il suo paese che è proprio come fosse una casa: « gli usci accostati, i rumori di stoviglie, quel parlottare intimo, che lo attraversa non è mai da noi separato».
Questa cura ossessiva per la parola ha una genesi anche lei arcaica come questa vecchia casina. «I primi libri — ricorda — li ho letti grazie alla zia Fenysia, alla cui memoria ho dedicato la scuola di scrittura. Lei stava a servizio prima in una famiglia di Genova, poi a Lucca ed era amatissima. Tutte le volte che tornava in paese la riempivano di libri da portare a noi bimbi». Erano gli anni in cui Alba scopriva Le piccole donne, i romanzi di Fausta Cialente, la riduzione italiana delle opere di Dickens, i gialli Mondadori. E ne faceva tesoro. Tanto da trasformarli in ragione di vita. Poi ci sarebbe stata Firenze, gli studi di Lettere, le poesie e i premi di letteratura. E poco a poco la voglia di tornare lì dove tutto aveva avuto inizio. «La casa che ho ristrutturato — dice — non è quella dove sono stata con babbo e mamma, ma quella poco più avanti, dove mamma è venuta ad abitare con zia Feny, dopo che il babbo era andato via. È quella dove ho trascorso ogni estate e ogni weekend della mia adolescenza però, visto che la nostra famiglia aveva preso a gravitare qui dentro».
Quando la notte è più inquieta del solito svegliarsi di soprassalto tra queste pareti colorate di beige, queste stoffe a fiori rosa e arancio, queste finestre che danno sui monti, per Alba è un sollievo. «Mi guardo intorno e mi dico: se sono riuscita a costruire tutto questo insieme alla mia strampalata famiglia allora son salva».
1. Continua
Ricordi di famiglia I primi libri li ho letti grazie alla zia Fenysia Quando decisi di andare al liceo, mio padre chiese informazioni dalla cabina al Ponte del Diavolo