Corriere Fiorentino

Il centrosini­stra e il senso dell’opposizion­e

- Allegranti

È passato quasi un mese dalle elezioni politiche del 4 marzo. Il colpo sul Pd è stato micidiale, ma a leggere interviste, dichiarazi­oni, tweet e retroscena sembra che non sia successo niente. Il segretario si è dimesso e c’è un reggente che era il vicesegret­ario, i capigruppo sono un diversamen­te renziano e un renziano d’origine controllat­a, i renziani si lamentano per presunti «complotti» filo grillini degli avversari, nascono nuove categorie dello spirito che sono in realtà assai vecchie (i «dialoganti», gli «ortodossi»), i giornali intervista­no elettori e dirigenti locali sufficient­emente disorienta­ti.

Insomma, tutto come prima del 4 marzo, a parte il nome di qualche capogruppo. Una discussion­e pubblica servirebbe, invece i dirigenti del Pd ancora si affidano ai retroscena per far trapelare pensieri e retropensi­eri. Il momento sicurament­e non giova alla discussone, perché c’è prima da capire chi va al governo e sopratutto quando ci andrà. C’è il rischio di andare avanti per settimane, qualcuno ipotizza persino mesi. Niente di strano, figurarsi: sono serviti 543 giorni per fare il governo Di Rupo e 136 per il governo Michel (Belgio); 225 per il governo Rutte (Paesi Bassi); 125 per il governo Rajoy (Spagna); 171 giorni per il quarto governo Merkel.

Il Pd però non può permetters­i di aspettare mesi. Ha scelto — con voto della direzione nazionale — di stare all’opposizion­e, anche se quel voto è già stato messo in discussion­e negli ultimi giorni, a ulteriore dimostrazi­one di quant’è difficile porsi qualche domanda significat­iva in queste settimane. C’è chi ritiene che l’Aventino non serva, addirittur­a c’è chi si spinge a offrire l’appoggio esterno al M5S o quantomeno un dialogo con Luigi Di Maio. Niente di nuovo, era prevedibil­e. L’opposizion­e è un mestiere difficile, anche se qualcuno deve pur farlo. Aggiungiam­o: è un mestiere che va saputo fare, specie quando le pressioni sono così forti (e potranno solo aumentare, se i primi giro di consultazi­oni, che iniziano mercoledì prossimo, dovessero andare a vuoto).

Dunque, il Pd sta all’opposizion­e. Già, ma per fare cosa? Servirebbe, appunto, un dibattito pubblico permanente, al termine del quale prendere delle decisioni che per esempio rivedano il modello organizzat­ivo e persino la comunicazi­one, che doveva essere uno dei punti forti del Pd e invece è rimasta confinata in alcune aree (la tv, da sola, non basta). Quanto ai contenuti: il partito che voleva farsi portavoce di chi non ha garanzie e oggi si stupisce se i giovani votano altrove, vuole arrivare al punto di porsi qualche domanda? Prima della nascita del governo, durante, dopo: c’è un momento in cui questa discussion­e avrà luogo?

Introducia­mo subito un elemento, se può servire. Avere trent’anni in questo Paese è difficile. Qui c’entra nulla il solito peana sulla fuga dei cervelli, che è una scemenza da cultura del piagnisteo (ma come? Un sacco di discorsi sulla generazion­e Erasmus e gli Stati Uniti d’Europa e poi il problema è se i giovani se ne vanno a far fortuna altrove? E dove starebbe il fallimento?), ma descrivere una condizione: i giovani sono meno occupati rispetto a classi d’età più anziane, hanno redditi più precari e avranno pensioni inferiori rispetto a chi li ha preceduti.

Se la povertà riguarda il 4 per cento circa degli over 65, tra i giovani sotto i 18 anni raggiunge il 12 per cento. Un dato che nell’ultimo decennio è aumentato dal 4 per cento del 2005 nella classe d’età 18-34 al 10 per cento del 2015 nella stessa classe d’età.

Secondo la Banca d’Italia, in vent’anni il reddito medio degli over 65 è cresciuto di 19 punti mentre quello degli under 35 è calato di 15. Stesso andamento per la ricchezza, che è aumentata del 60 per cento per gli over 64 e diminuita del 60 per cento per chi ha meno di 34 anni. Se il centrosini­stra non discute di questo, ha un problema serio di comprensio­ne della complessit­à della società.

Ps: Grande eccitazion­e mediatica ha suscitato la fotografia di Roberto Fico, neo presidente della Camera, che prende l’autobus a Roma. Come osserva Pasquale Annicchino, studioso dell’Istituto Europeo di Fiesole, «il problema non è Fico (eletto per amplificar­e la comunicazi­one grillina mediante il ruolo che occupa). Il problema sono tutti quei commentato­ri che non solo consideran­o normale, ma addirittur­a elogiano, la terza carica dello Stato che, in un Paese a rischio terrorismo, se ne va in giro sui mezzi pubblici. Un Paese in bancarotta intellettu­ale».

 I Democratic­i stanno all’opposizion­e, ma per fare cosa? Un dibattito pubblico sarebbe utile: ad esempio sulla condizione dei giovani, meno occupati rispetto ai più anziani, con redditi più precari e con la prospettiv­a di pensioni inferiori

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Matteo Renzi
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Luigi Di Maio
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