UN PARTITO O UNA STAMPELLA?
Èuna strana Pasqua post-elettorale. I vincitori del 4 marzo si trovano nella necessità di dare un governo al Paese, ma nessuno di loro ha vinto davvero e nessuno conosce l’esito del braccio di ferro che hanno ingaggiato sulla leadership. L’ex segretario del Pd toscano, Dario Parrini, uno dei parlamentari più vicini a Matteo Renzi, però accusa: Lega e centrodestra sono in stallo e gli osservatori mettono sotto accusa il Pd perché non si piega a fare da stampella a un governo dei Cinque Stelle, con i quali i Democratici non hanno alcuna affinità, né di principii né di programmi.
Chi spinge il Pd all’accordo con il M5S è mosso dall’esigenza di dare in qualche modo una guida al Paese. Ma è ricorrente anche un’altra motivazione: tanti italiani che hanno votato per Di Maio e C. sarebbero elettori «di sinistra». La Toscana offre un buon panorama per capire come il ragionamento si presti ad almeno un paio di obiezioni. 1) Visti i flussi del consenso, con lo stesso criterio il Pd dovrebbe essere disponibile ad appoggiare qualsiasi governo, compreso un governo Salvini, perché la Lega è avanzata soprattutto nelle zone popolari che un tempo erano roccaforti del Pci (basti pensare a Cascina). 2) Anche nella regione in cui è più robusto, dopo un voto negativo, ma non disastroso, il Pd ha bisogno di una cura ricostituente. Di più, di una vera e propria ripartenza che dovrà basarsi su un progetto di lungo periodo tutto da mettere a punto nel prossimo congresso. Una prospettiva che ha bisogno di una leadership in grado di prendere iniziative politiche anche immediate. Ma ipotizzare che il primo atto sia una sorta di genuflessione ai Cinque Stelle non risponde ad alcuna logica. Dovrebbero essere semmai coloro che rivendicano la premiership a fare un passo. Ad avanzare un’offerta.
Il partito diretto in (semi) incognito da un segretario nettamente sconfitto nelle urne è una variabile che non potrà reggere a lungo. Ma questo non può essere un motivo sufficiente per chiedere a un Pd in crisi di autocandidarsi alla sparizione. Il Paese e anche la Toscana hanno più che mai bisogno di una forza autenticamente riformista capace di contendere la ribalta politica ai suoi nuovi protagonisti, populisti e sovranisti arrivati all’incrocio tra promesse e realismo. La democrazia vive di alternanza tra idee credibili, non di avvicendamenti tra una delusione e l’altra.