Quei pezzi di legno e saggina, ultimo argine al cemento
Dal 1923 hanno protetto l’Oasi, rimasta intatta in una costa minacciata
Si prospettano tempi duri per il Fratino, l’uccello migratore che da febbraio ad agosto di ogni anno nidifica sulla spiaggia dell’Oasi di Bolgheri, nel tratto compreso tra la Fossa Camilla a nord e la foce del Seggio a sud. Di questi tempi batte senza tregua il bagnasciuga alla ricerca di invertebrati, dopo aver deposto le uova nelle depressioni in cui si accumulano palline di posidonia e pezzi di legno, per nasconderle agli uccelli predatori. Oltre che dalla temibile cornacchia grigia, dovrà difendersi dal frastuono causato dall’abbattimento delle capanne che stanno lì da decenni, alcune dal 1923.
Sarà fatta tabula rasa: hanno vinto gli egualitari d’antan, mobilitati contro i signori che godevano di un odioso privilegio, beneficiati nel ripararsi sotto quelle strutture tirate su con pali di ginepro fenicio e coperti di saggina, senza bagno né acqua corrente, mentre gli altri ripiegavano sugli stabilimenti balneari ricchi di comfort per poi sciamare nelle seconde case costruite dove si poteva deturpare di più. Furono una scazzottata e l’eco che ne scaturì a indurre il sindaco del Comune di Castagneto, nel 2002, a emettere un’ordinanza di abbattimento per quei manufatti realizzati senza alcun permesso su terreno demaniale. Inevitabile la battaglia legale, che andò avanti per dieci anni, fino al pronunciamento del Consiglio di Stato che confermò la sentenza del Tar: capanne e tettoie dovevano essere demolite. Tutto però restò com’era per un provvidenziale intervento della Soprintendenza, la quale stabilì che le capanne ormai facevano parte integrante del paesaggio e quindi dovevano essere conservate.
Possibile che a sei anni di distanza il loro valore paesaggistico sia scaduto al punto da autorizzarne la cancellazione? Certo che è possibile: sono cambiati gli attori e, con essi, i punti di vista. È stata l’attuale sindaca del Comune di Castagneto Carducci, Sandra Scarpellini, a interpellare la Soprintendenza per sapere se intendesse mantenere o meno il vincolo sui casotti, spinta da una campagna mediatica che prima o poi avrebbe attirato l’attenzione della procura della Repubblica. A fronte di una risposta negativa, è scattata l’ordinanza e il conto alla rovescia. Atto dovuto. Solo gli Incisa della Rocchetta dovranno abbattere venti dei 34 casotti abusivi entro 90 giorni a partire da ieri.
A pensarci bene, sa di beffa. Il marchese Mario Incisa della Rocchetta fondò il Wwf Italia e destinò 440 ettari della sua proprietà all’oasi naturalistica. Assieme a un’altra grande famiglia nobiliare, gli Antinori, rinunciò a vendere pezzo per pezzo i suoi possedimenti, impedendo la parcellizzazione del territorio, l’invasione del cemento e ponendo le basi perché il nome di un borgo come Bolgheri fosse conosciuto al mondo anche per le sue bellezze paesaggistiche e naturalistiche. Dove invece si è venduto per lotti, il cemento è arrivato a fiumi, finendo per inondare la costa a sud di Livorno. Beninteso, la sentenza del Consiglio di Stato va solo rispettata. Ma in confronto a certe devastazioni avvenute negli ultimi cinquant’anni, le capanne dell’Oasi sono niente. In mezzo secolo sono nati paesi popolati solo da giugno a settembre, come la Mazzanta di Vada e Marina di Bibbona; le villette a schiera sono spuntate come i funghi; i grattacieli di Follonica hanno devastato una tra le baie più belle della Toscana. E poi a San Vincenzo il numero degli alloggi è arrivato a sopravanzare quello degli abitanti, alle Spianate di Castiglioncello e a sud di Quercianella sono state edificate colline intere, persino sono stati eretti stallaggi per cavalli con vista mozzafiato verso il Romito. Senza dimenticare i porti e le loro dighe foranee, che deviano le correnti litoranee causando un’erosione inarrestabile.
Ogni cosa è stata fatta a norma di legge. Tuttavia il danno ambientale e paesaggistico è evidente. Ma niente di ciò ha riscosso un’attenzione paragonabile a quella che si è accentrata sulle capanne del Bolgherese, presentate come un privilegio per ricchi e per questo viste come il fumo negli occhi dagli agguerriti sostenitori del principio di eguaglianza in riva al mare. Qualcuno dirà: stiamo al tema. Ma il tema è sempre lo stesso ed è circoscritto nella tutela del paesaggio in quanto bene collettivo. A chi ha protestato contro i presunti vantaggi di pochi a discapito di molti, parrà forse che il cemento delle villette vicine alla spiaggia sia più democratico del ginepro fenicio e della saggina. In realtà è ormai diffusa l’assuefazione al brutto concepito nel rispetto delle regole, e nessuno prova a ricordare come fosse la collina di Bellavista a San Vincenzo prima di essere sommersa dalle ville oppure l’area attorno alla foce del Seggio, confinante con la spiaggia delle capanne dei vip, quand’ancora non c’erano le case per i villeggianti.
L’ordinanza della sindaca Sandra Scarpellini comporterà anche l’abbattimento delle cosiddette «tettoie dei poveri», quelle a sud dell’abitato di Marina di Castagneto, verso San Vincenzo, assai simili a quelle nate decenni prima più a nord ma rimaste in ombra e prive di pronunciamenti dei tribunali amministrativi. Per chi si è sgolato contro i privilegi dei ricchi dichiarando l’ostracismo di classe, si tratta di un’eterogenesi dei fini. Ma pazienza, la legge non risparmia nessuno. Il Fratino, naturalmente, fa eccezione: batta un colpo chi ha pensato a tutelare il suo diritto a nidificare immerso nella quiete di una delle spiagge più belle d’Italia.
La beffa Il marchese Mario Incisa della Rocchetta destinò 440 ettari della proprietà all’oasi naturalistica e impedì il frazionamento del territorio
Brutto, ma legale Dove invece si è venduto per lotti sono state edificate colline intere, e sui litorali sono nati paesi popolati solo da giugno a settembre