Nella miniera senza confini
Il parco museo entra nella rete europea del patrimonio archeologico industriale Viaggio tra carrelli, trenini d’epoca, gallerie e installazioni multimediali. «Siamo usciti dalla nicchia»
ABBADIA SAN SALVATORE (SIENA) Salendo la Provinciale che dal paese conduce ai boschi del Monte Amiata lo sguardo incrocia carrelli arrugginiti, binari dismessi, ciminiere e strane costruzioni in cemento armato. È ciò che resta della miniera, attiva da fine ‘800 agli anni ‘70 del ‘900, che ha rappresentato una delle maggiori risorse di mercurio a livello mondiale, insieme ad Almaden in Spagna e Idrija in Slovenia. L’idea di ricavarci un museo ha iniziato a prendere forma negli anni ‘80, ed è proseguita fino all’inaugurazione del 2001. Oggi il Parco museo minerario, questo il nome, registra una media di 15 mila presenze l’anno e di recente è stato ammesso nella rete «Erih», acronimo che sta per «European Route of Industrial Heritage», un network istituito nel 1999 con lo scopo di valorizzare il patrimonio archeologico industriale del Vecchio Continente, che oggi comprende 1.300 siti in rappresentanza di 45 Stati.
«Questo certificato è una svolta che garantirà maggiore visibilità al museo e al territorio, in Italia e all’estero — spiega il direttore Daniele Rappuoli — Alle spalle c’è un lungo percorso iniziato nel
2013; per restare “nella rete” e mantenere il livello bisogna garantire un’alta qualità, un po’ come accade per le stelle Michelin dei ristoranti. Inoltre se fino ad ora eravamo inseriti nella stretta cerchia dei parchi delle miniere, oggi, per la prima volta, usciamo da questa nicchia per entrare nei siti di archeologia industriale; in più siamo nella pagina web di Erih assieme ai musei più
importanti d’Europa dedicati a questo tema».
In Toscana, attualmente, sono quattordici le sedi che possono fregiarsi del marchio «Erih»: dal Museo Piaggio di Pontedera a quello del Tessuto di Prato, oltre alla Ferrovia Porrettana e al Comprensorio Ilva (Museo del Ferro e della ghisa) di Follonica.
Tornando al Parco minerario di Abbadia, la visita si divide in tre percorsi da quaranta minuti ciascuno. Dallo stabilimento industriale, in cui transitava il cinabro, si arriva fino al Pozzo Garibaldi, dove, attraverso un ascensore non proprio condominiale, i minatori si calavano fino a quattrocento metri di profondità.
Poi c’è il luogo più innovativo, multimediale, dove, attraversando istallazioni avveniristiche, scaturiscono rumori improvvisi e vecchie immagini dello stabilimento industriale, e sembra di rivivere l’epoca dei minatori. «Questa parte — prosegue il direttore — è stata inaugurata nel 2016 e rappresenta un museo nel museo; un progetto realizzato grazie al lavoro minuzioso di un gruppo di artisti italiani specializzati in videoambienti». Tre le parti — «Mercurio», «Territorio» e «Uomo e materia» — all’interno delle quali si viene catturati da immagini che raffigurano luoghi suggestivi del Monte Amiata, interviste ai minatori e fasi di trasformazione della materia, da minerale a liquida; poi gallerie, pozzi e carrelli, alternati a primi piani di minatori, case antiche di paese, famiglie, e frasi celebri dedicate alla miniera, in un susseguirsi di ricordi e stupore. Proseguendo si arriva nella stanza «Hermes», man mano che si percorre si attivano i contenuti multimediali, e ci si trova immersi in uno scenario futuristico, avvolgente e ipnotico, con al centro un’istallazione composta da migliaia di gocce di mercurio che generano esplosioni luminescenti e suoni imprevisti.
Lo spazio si articola lungo i binari che conducono all’ingresso della Galleria VII, dove i macchinari di un tempo rimandano alle fatiche dei minatori. Infine si entra nel segmento più affascinante del percorso: il trenino dei minatori, lasciato per ultimo forse per dare il tempo di pregustare la sorpresa del viaggio, fisico e non virtuale, all’interno della Galleria VII.
Si indossa l’elmetto da minatore, e, una volta ragguagliati sulle norme di sicurezza, si monta a bordo dello stretto convoglio («originale, non riproduzione posticcia da parco dei divertimenti», ci tengono a sottolineare gli organizzatori). Scortati da una guida esperta, spesso un minatore, il treno inizia a serpeggiare nelle vecchie gallerie. Tra ombre scure e stridori metallici si sussegue l’evoluzione dei sistemi di lavoro dagli anni ’20 agli anni ’50 del Novecento, tra ambientazioni originali, strani utensili, fronti di escavazioni e pozzi senza fine. «È l’esperienza nel sottosuolo che più delle altre rimane impressa nella testa di chi viene — conclude il direttore — Certamente si tratta di un parco-museo più unico che raro, di solito i visitatori tornano una seconda volta, portando amici o parenti; per il futuro prossimo è prevista l’inaugurazione di alcuni percorsi esterni molto affascinanti, oltre alla sistemazione della Torre dell’Orologio, progettata nel 1898 da un ingegnere boemo, dove sono illustrate tutte le fasi di lavorazione».
Il direttore Finalmente siamo accanto ai grandi siti Adesso dobbiamo mantenere alta la qualità, un po’ come accade per le stelle Michelin dei ristoranti