Io e gli U2
Il rock, il rimpianto Anton Corbijn al festival di Lucca
Senza i suoi scatti le icone del rock — dagli U2 ai Rolling Stones, dai R.E.M. ai Depeche Mode, da Nick Cave a Tom Waits e molti altri — non sarebbero state le stesse. Lui è Anton Corbijn, fotografo e regista tra i più celebri del mondo, ospite del Lucca Film Festival, che oggi gli rende omaggio con una masterclass dedicata al rapporto tra cinema e musica, con la proiezione di due suoi film (Control, dedicato a Ian Curtis dei Joy Division, e Life, sul legame tra il fotografo della rivista Life Dennis Stock e James Dean) e infine con il conferimento del Premio alla carriera.
«Ma non chiamatemi fotografo del rock — puntualizza mentre è in giro per musei e oggi tra le mura della città visiterà alcune location per una possibile futura mostra delle sue opere — È uno stereotipo che rischia di allontanare dai miei scatti tante persone che magari non sono appassionate di musica, perché le mie fotografie vanno oltre la semplice immagine di una celebrità. Il senso del mio lavoro sta proprio in questo: catturare l’umanità vera e lo spirito creativo di una persona dietro la sua icona mediatica. È un processo lungo e laborioso — prosegue — ed è il motivo per cui continuo a lavorare da molti anni sempre con le stesse band. Dopo così tanto tempo è come se facessimo parte di una grande famiglia, per cui è più facile per me cogliere la loro vera anima. Si tratta di una fiducia reciproca, che spinge anche loro a scoprirsi davanti a me per quello che sono. In questo senso trovo più difficile ritrarre gli attori spesso ho la sensazione che loro si autoproteggano interpretando un ruolo, mentre i musicisti spesso sfidano se stessi, oltrepassando i propri limiti».
Tra le collaborazioni di lungo corso che si sono poi trasformate in un’amicizia autentica, c’è quella con gli U2. Corbijn e la grande rock band irlandese sono cresciuti insieme in un connubio indissolu- bile: un’identità tra musica e immagini che è passata dal lirismo epico di The Joshua Tree (1987) al romanticismo decadente di Achtung Baby (1992), giungendo fino a oggi. «Quando trent’anni fa andammo nel deserto americano per fare le foto di The Joshua Tree non sentivo la pressione che ho oggi — ci confessa — perché allora mai avrei immaginato che quel diperché sco sarebbe diventato un tale successo planetario. Ero più libero, anche di commettere degli errori. L’anno scorso, quando per il trentennale dell’uscita siamo ritornati sui luoghi dell’album per girare i nuovi video delle canzoni, ho sentito un bel peso sulle spalle, perché ero consapevole dell’attesa che il mondo intero aveva nei nostri confronti. Lavorare con loro per me è comunque una cosa unica, anche perché gli U2 sono una delle pochissime band rimaste unite durante tutta la loro carriera».
Oggi Corbijn continua a guardarsi intorno, più determinato che mai a seguire anche altre passioni, come la pittura (suo nonno era un artista): «Sono un pittore mancato. Più di ogni altro il pittore lavora in solitudine e in maniera autonoma. Nel processo creativo non dipende da altri, crea qualcosa dalla sua interiorità. Forse è questa l’essenza stessa della creatività». Il fotografo olandese non manca comunque anche di riflettere sui nuovi orizzonti della fotografia: «La nostra è un’epoca molto importante per la fotografia, perché viene riconosciuta non solo come un mezzo di comunicazione, ma anche come una forma d’arte, degna di essere esposta nei musei. Quando iniziai non era così. Nonostante ciò, oggi per i fotografi è un momento complicato. Grazie al digitale e ai social siamo sopraffatti dalle immagini: tutti fanno foto con i loro cellulari, tutti pensano di essere fotografi e di avere qualcosa di interessante da raccontare. Mi chiedo che cosa si possa fare, in questo mondo così saturo visivamente, per catturare l’attenzione delle persone. Forse ci vuole una nuova forma di bellezza...».
In attesa di capire dove si andrà, a Corbijn resta un unico rimpianto. Una fotografia mai scattata, il ritratto mancato. Quale? «Quello di Marlon Brando».
Quando andammo nel deserto americano per «The Joshua Tree» mai avrei immaginato che quel disco sarebbe diventato un successo planetario
Vado oltre la semplice immagine di una celebrità, è un processo lungo e laborioso, ecco perché preferisco lavorare sempre con le stesse band