IL PREZZO DELL’ARROCCO
Il caso di piazza Stazione deturpata dai pali e dalla ragnatela di cavi aerei della tramvia è la conclusione coerente di un’opera nata malissimo. Per più aspetti. Chi può dimenticare la guerra ideologica che bollava come «di destra» la scelta della metropolitana in alternativa al progetto dell’amministrazione comunale? Il capofila del fronte anti tramvia era Mario Razzanelli, esponente dell’opposizione (moderata, tra l’altro), ma il progetto di una micro metropolitana circolare che servisse tutto il centro storico collegandolo alla rete delle linee di bus provenienti dalla periferia fu curato dall’Università e finanziato dall’Ente Cassa di Risparmio nel ‘95. Senza alcuna etichetta partitica. Eppure ci fu un arroccamento che chiuse ogni varco a una discussione seria. In gioco non c’era un mezzo di trasporto urbano al posto di un altro, ma la concezione della città futura, il ridisegno di una realtà che avrebbe avuto un impatto fortissimo a distanza di un secolo e mezzo dalla rivoluzione urbanistica del Poggi. C’era bisogno di un confronto di alto livello culturale, non di una faida. E ci vorrà Matteo Renzi, nel 2009, per porre fine all’estenuante braccio di ferro sul passaggio del tram accanto al Battistero, con la decisione di pedonalizzare piazza Duomo.
Ai tempi del duello tra tramvia e metrò si parlò anche dei costi, di costruzione e di gestione. I numeri davano ragione ai sostenitori della tramvia. Ma i progetti avrebbero dovuto tener conto di un territorio assai più esteso di quello comunale, ipotizzando una rete che collegasse Firenze e tutto (ripetiamo: tutto) l’hinterland arrivando magari fino a Prato. Sia in superficie che sottoterra. E di andare sottoterra c’era bisogno per non toccare il fragile tessuto di Firenze, per non ridurre a corridoi le poche strade larghe, per evitare sfregi alla bellezza che il passato ci ha consegnato. Ginevra Cerrina Feroni ha preso posizione per prima contro lo scempio (era il 23 febbraio) della Stazione, non solo sollevando una protesta ma chiedendo un pubblico dibattito sugli effetti di una scelta, probabilmente poco valutata.
Partì davvero male la tramvia fiorentina. I lavori della linea 1 durarono più di cinque anni. Molti negozi, nel viale Talenti e non solo, andarono a gambe all’aria. E tanti fiorentini scoprirono a cose fatte che Sirio li poteva portare comodamente alla grande Coop di Ponte a Greve ma non all’ospedale di Torregalli. Una stortura storica.
Il sindaco Nardella si è preso coraggiosamente sulle spalle un bel carico: portare a compimento due tappe decisive, la linea 2 e la linea 3, di un’opera pensata da altri. Non sarebbe giusto farne ora il capro espiatorio. L’alternativa sarebbe stata bloccare tutto inchiodando Firenze al suo caos quotidiano, alleviato dalla «tramvia di Scandicci». Più che una soluzione sarebbe stato un atto di irresponsabilità. Questo non significa però che al sindaco attuale spetti un ruolo di puro esecutore. Al di là delle promesse generiche, una volta messe in funzione le nuove linee, dovrebbe essere lui a spiegare ai fiorentini e agli abitanti dei Comuni limitrofi che ne sarà dei trasporti urbani e extraurbani anche nelle zone rimaste escluse dalla tramvia, e come e quando si potrà contare su nuove linee. Ma Nardella può muovere passi importanti anche nell’immediato. Come lui stesso ha detto ieri, il sindaco si può adoperare per attenuare l’impatto del passaggio dei tram tra la stazione di Michelucci (un capolavoro del Novecento) e l’abside di Santa Maria Novella (un patrimonio del Trecento). Anche se è difficile immaginare la rimozione di tutti i pali appena installati. Però lo faccia senza rifugiarsi nello scaricabarile, come ha fatto invece il soprintendente Pessina che, di fronte alle critiche per l’offesa all’estetica cittadina, non ha trovato di meglio che accusare i suoi predecessori. Un atto di coraggio, non c’è che dire. Domanda: perché non è stato lui a sollevare pubblicamente la questione, prima che ne parlassero i giornali?