Giubbe Rosse, 130 anni di storia verso il fallimento?
«Costretti a licenziare, ricavi in calo del 60 per cento». Avviato un procedimento di pre-concordato
Centotrenta anni di storia che hanno segnato la letteratura del Novecento e il volto di piazza della Repubblica: cosa direbbero Mario Luzi, i futuristi di Marinetti, Soffici e Papini, Dino Campana, Montale, Saba e Gadda se sapessero in quali cattive acque navigano le «loro» Giubbe Rosse? «Abbiamo 220 posti a sedere che non riusciamo a riempire. Continuiamo a fare mostre e presentazioni di libri, ci piacerebbe farlo tornare a quello che era, il caffè letterario, e puntiamo sui giovani artisti. Ma dobbiamo licenziare». Parola di amministratore delegato, Lino Condello. Due settimane fa è stato avviato un procedimento di pre-concordato in bianco a 90 giorni. Che di solito previene la messa in fallimento e stoppa eventuali altre azioni legali in attesa che la palla passi al tribunale: il 27 giugno è la data fissata per la comparizione. La crisi è endemica: «Siamo scesi del 60% sui ricavi rispetto all’anno scorso: affluenza in calo, personale che costa molto, turismo di massa che non si ferma a mangiare, tagli non fatti in tempo e ora anche il cantiere e le bancarelle che limitano la visibilità del locale.
La situazione è ulteriormente peggiorata e — annuncia Condello — dei nostri 45 dipendenti una decina, se tutto va bene, li dovremo licenziare». Quel «se tutto va bene» si riferisce ai tempi di ripristino della piazza: se dovessero prolungarsi « la razionalizzazione del personale sarebbe incrementata». Un problema che vale per tutti gli esercizi in piazza: « Nei quattro ristoranti, saranno 140 le persone che perderanno il lavoro» aggiunge. «Considerate che tra affitto e suolo pubblico paghiamo 30 mila euro al mese — aggiunge il commercialista delle Giubbe Rosse, Sandro Malevolti — Riusciamo con difficoltà a pagare gli stipendi e abbiamo respinto al mittente una proposta di acquisto da parte di un ristorante cinese».
Quello che «abbiamo chiesto» puntualizza Malevolti «è di poter fare una ristrutturazione del debito » perché «non lo ipotizziamo nemmeno il rischio di fallimento, morirebbe uno degli ultimi locali storici di Firenze, non lo si può permettere». Anche se — e qui Malevolti ha un tono di voce un po’ più irritato — «la città, per come ci tratta, non si merita nulla».
L’azienda
«Una decina di nostri dipendenti perderanno il lavoro. La colpa? Anche dei cantieri»