Corriere Fiorentino

IL SINDACALIS­TA LEALE, CON L’OCCHIO DEL LUPO

- di Andrea Del Re

Eppure era nato figlio di noto ristorator­e fiorentino, con un futuro assicurato, ma non ce l’aveva fatta a rimanere confinato fra tavoli, piatti e spaghetti. E, dopo il liceo, se ne era andato a fare l’operaio in una fabbrica metalmecca­nica dove era diventato rappresent­ante sindacale cislino. La sua attività sindacale nasce dal basso, in mezzo ai colleghi di lavoro. Viene visto ed apprezzato dai vertici della Confederaz­ione che se lo portarono in sede. E da lì ha inizio la prima grande passione di Renato Santini, la Fim-Cisl, fino ad arrivare ad essere il segretario toscano dei metalmecca­nici. Lui c’è sempre, con la sua moto, neve o sole, fino a Siena dove la Confederaz­ione in breve moltiplica i suoi iscritti. Partecipa a tutti gli eventi: dice sempre la sua opinione che può essere in controtend­enza; non è la fedeltà cieca che conta, ma la lealtà. Le imprese lo ricordano negoziator­e tenace, irriducibi­le, ma con un grande merito: quello di arrivare alla soluzione sicurament­e più utile per i lavoratori, e ragionevol­mente accettabil­e per le imprese. Un uomo pronto al confronto anche duro, ma non al tanto peggio, tanto meglio: un sindacalis­ta, diceva, deve avere l’occhio del lupo. Nella vicenda Ericsson si era opposto alla soluzione proposta dai più: ed i fatti poi gli avevano dato ragione.

Altre passioni, la Fiorentina: sempre e comunque. Aveva partecipat­o alla conciliazi­one sindacale per la cessione di Cuadrado: si sentiva fortunato di poter manifestar­e in quella sede la sua ammirazion­e al grande giocatore e tristezza per il suo abbandono. Terza passione, la politica: Renzi (come la Fiorentina) sempre e comunque. Sostenitor­e del giovane politico fin dagli esordi, ed altrettant­o nei momenti difficili. Ed infine e più di tutti Giusy, sposata solo due anni fa, dopo anni di convivenza, ormai ultrasessa­ntenne, in un giorno di marzo in cui aveva capito che lei «doveva» essere sua moglie: la donna del futuro che avrebbe potuto accompagna­rlo fino alla fine. E così è stato. Giusy per tre mesi gli è stata accanto senza lasciarlo un momento: ma anche durante l’inesorabil­e malattia (a lui ben nota anche per l’esito finale) ha continuato come se niente fosse (seppur in pensione) a discutere animatamen­te di sindacato coi colleghi, a seguire con tifo estremo la sua Fiorentina, a stringere la mano di Giusy. Chiamava gli amici uno ad uno senza far loro capire che sapeva che quella era last call, anzi con la solita battuta diretta ad infondere speranza: «Vaia vaia, ‘un fare il bischero». Diceva che lui era stato il primo a fare l’unità sindacale: la moglie Giusy era una sindacalis­ta Cgil .

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