Corriere Fiorentino

I Baustelle e l’amore «Una sfida continua»

La band all’Obihall: non abbiamo più paura di niente

- Edoardo Semmola

«Ascolti certe canzoni di Leonard Cohen, come Chelsea Hotel n.2, o di Jacques Brel; oppure leggi Le foglie

morte di Jacques Prévert, e pensi: cos’altro si può scrivere sull’amore? È già stato detto tutto». Eppure: «Forse è qualcosa di troppo impetuoso e che rivela così tanto della vera natura dell’uomo, nel bene e nel male, che non puoi farne a meno. La canzone d’amore è la chiave per leggere la vera natura degli uomini». La spiega così Francesco Bianconi, con un po’ di fatalismo ma anche con spirito di sfida, la svolta dei Baustelle di dedicarsi a «semplici canzoni d’amore pop» che tornassero a basarsi sul suono della cara vecchia chitarra acustica, come un tempo. Dopo un anno da L’amore e la violenza, settimo album, ennesima svolta rispetto ai sinfonici e impegnativ­i I Mistici dell’Occidente e Fantasma, ora è arrivato il secondo capitolo: L’amore e

la violenza vol. 2.

Lunedì sera il trio di Montepulci­ano è di scena all’Obihall. «Ma non consideria­molo un disco “sequel”, non porta bene: Rambo 2 è più brutto di Rambo 1. Quindi consideria­molo un disco “fratello”». Il perché è facile intuirlo: «È più facile sbagliare una canzone d’amore che una impegnata, è il tema più abusato di sempre, io spesso non ne posso più delle canzoni d’amore che sento, sono troppe quelle brutte». Infatti è proprio per questo che ha deciso di cimentarsi: «Noi facciamo apposta ad auto-sfidarci: non ci piacciono le canzoni d’amore che sentiamo? E allora decidiamo di farle noi. Ma il compito è molto delicato, è un attimo diventare retorici».

Otto album, un successo di pubblico e di critica che tiene insieme la nicchia e le grandi platee. I Baustelle sono una realtà diversa da tutti gli altri e comunque ben consolidat­a. Per questo ora sembrano, a sentire le canzoni, meno cupi e drammatici, più gioiosi. «O forse siamo solo e sempliceme­nte più esperti — continua il frontman e autore — Più in equilibrio, sereni, magari proprio a causa di una sana pratica di pessimismo cosmico. È come l’essere vaccinati. E quindi pronti a tutto. Abbiamo raggiunto la pace ma è una pace per assenza di paura». E dopo 20 anni di carriera hanno capito che «è la libertà la più grande conquista per un artista», la capacità di comprender­e che «devi scendere a meno compromess­i possibile. Quando ci riesci. Ma anche se non ci riesci, devi farlo lo stesso».

Bianconi

«Siamo più sereni a causa di una sana pratica di pessimismo cosmico»

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