«Il re ci ha liberate dal voodoo» «Non vale, qui siamo in Italia»
La speranza di una vita PRATO migliore di giovani donne provenienti da famiglie povere e l’opportunismo degli sfruttatori sono tenuti insieme da un collante che appare difficile da cogliere (visto dall’Occidente). È quello dei riti voodoo nigeriani, la cui osservanza induce queste ragazze a pagare il proprio debito — individuato in circa 30 mila euro dalle investigazioni dei militari al servizio del maggiore Vitantonio Sisto — ai protettori che le ospitano. Ci vogliono anni per saldare l’importo attraverso l’attività della prostituzione. Tanto l’umiliazione della vendita del corpo, quanto i soprusi, sono spesso tollerati per questo dalle famiglie di provenienza delle giovani, che spingono le proprie figlie a «tener duro» assecondando il rito della magia nera.
Il 23 marzo scorso, sui cellulari di queste ragazze, in tutto il mondo, rimbalza una notizia stupefacente: il grande «Oba» re Ewuare II dell’Edo State ha vietato i riti voodoo che vincolano le donne a pagare il debito contratto. Quel giorno, i microfoni delle intercettazioni disposte dalla procuratrice antimafia Angela Pietrojusti, sono attivi sui telefonini delle ragazze soggiogate in via Ferrara a Prato.
«Hai visto cosa ha detto il re di Benin..?» dice alla «madam» una delle giovani al telefono cercando approvazione. Le due parlano in «agbor», uno dei dialetti nigeriani più diffusi. «Tu sei per caso di Benin?» risponde provocatoriamente la donna. «No, io sono di Edo State... ma il re ha detto che è finito...», replica timidamente la giovane. La «madam» si innervosisce e insiste: «Mi stai dicendo che sei di Benin? Perché se tu sei di Benin e io sono di Benin allora vuol dire che siamo del posto di cui si parla... altrimenti questa cosa non vale». La ragazza teme ritorsioni e non insiste. Esita con un silenzio. E la donna più grande chiude la conversazione dicendo: «Comunque adesso siamo in Italia e quello che è stato detto lì qui non ha valore».
È la testimonianza del fatto che il rito voodoo è insieme due cose: argomento di reale soggezione per le vittime del traffico di esseri umani e strumento di coercizione fittizio per chi vuole esercitare potere sulle ragazze che devono ripagare lavorando sulla strada il debito contratto. Tra il materiale sequestrato dai carabinieri al momento del fermo dei tre nigeriani c’erano decine di telefonini e tablet con cui gli accusati intrattenevano rapporti digitali con i procacciatori delle ragazze in Nigeria. Che spesso, come appreso dalle telefonate intercettate erano membri delle loro stesse famiglie.
L’editto
Il 23 marzo in Nigeria Oba Ewaure II ha revocato tutti i riti che vincolano le ragazze