DA BULLI A GRULLI (FATELI FATICARE)
Le minacce e le offese dello studente minorenne dell’Istituto tecnico commerciale «Carrara» di Lucca al suo professore di italiano e storia sono segni inequivocabili di «fallimento educativo», come ha scritto ieri Valerio Vagnoli su queste pagine. Ultime di una serie che soltanto quest’anno conta almeno altri sei episodi. Genitori che picchiano insegnanti, a Siracusa (gennaio), Foggia (febbraio), Palermo (aprile), dove la vittima è un docente ipovedente. Alunni che aggrediscono docenti, a Piacenza (febbraio), Alessandria (aprile), Caserta (febbraio), con la docente Franca Di Blasio sfregiata da un alunno, insignita il 9 aprile dalla ministra Fedeli dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. Un’emergenza educativa che colpisce pesantemente la scuola, anche se nasce nella realtà sociale e familiare, nella quale gli studenti passano la maggior parte del loro tempo. E la scuola deve reagire con forza.
Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, e la vicesindaca Cristina Giachi hanno promosso appena una settimana fa una legge di iniziativa popolare per introdurre l’educazione alla cittadinanza come materia di studio, autonoma e obbligatoria. La legge dovrebbe prevedere anche azioni e sanzioni che colpiscano, nella scuola, i responsabili di queste aggressioni. È vero che ci sono già le sanzioni penali e amministrative, ma non sempre si risolvono in sanzioni educative e sociali. Perché l’aspetto più grave di simili episodi sta nella loro approvazione in alcuni contesti, non solo giovanili, favorita dalla diffusione esponenziale di video espressamente costruiti allo scopo. Il ragazzo di Lucca passa per «ganzo» tra i suoi compagni e nel linguaggio diffuso dei social media giovanili non si leggono difese del docente. L’espulsione o la bocciatura non scalfiscono il mito del bullo-eroe. Per rovesciare un senso diffuso, giovanile e sociale, la scuola e la società dovrebbero far passare i «ganzi» per «grulli». Per ragazzi come quelli di Lucca vanno bene lavori socialmente utili, nella scuola (pulizia di bagni, aule o giardini, imbiancature, ecc.).
E per superare l’omertà degli studenti, e la frustrazione o la rassegnazione che si diffondono in un corpo docente sempre più anziano, stanco e demotivato, si dovrebbero costituire gruppi congiunti di docenti, studenti e genitori che controllino il rispetto delle regole stabilite dall’educazione alla cittadinanza.
Un altro aspetto delicato è quello dell’uso dello smartphone in classe. Episodi come questo non sarebbero diventati di così diffuso dominio senza il video, girato per raggiungere la massima visibilità. La direttiva Miur del 15 marzo 2007 vieta l’uso degli smartphone a scuola. E il decalogo del 19 gennaio «per l’uso dei dispositivi mobili a scuola» non abroga la direttiva, ma introduce l’uso del digitale nella didattica come una scelta decisa dai docenti, attraverso una «didattica» che ne «guida l’uso competente e responsabile». Sarebbe opportuno ribadire l’obbligo dell’effettivo ritiro degli smartphone durante le ore di lezione, oggi applicato soltanto in alcune scuole, accanto a un loro eventuale uso didattico, controllato dal docente.
Infine il Miur dovrebbe intervenire attivamente nella tutela legale dei docenti, che rischiano di rimanere le uniche vittime di questa emergenza educativa. Per trasformare in fischi l’applauso per il bullo-eroe non basta il clamore dei media, che anzi può sortire l’effetto opposto. Urgono sanzioni educative e sociali. E la scuola è il luogo deputato per far capire a genitori e alunni che le regole di cittadinanza vanno rispettate e che un presunto «buonismo educativo» testimonia soltanto la totale rinuncia alla funzione di padri e figli.