Adesso Gucci fa da sé (con amore)
Chi fa da sé raddoppia i fatturati. Può valere per Gucci che ha inaugurato ieri a Scandicci il suo ArtLab: uno stabilimento di 37 mila metri quadri dedicato alla realizzazione, dall’inizio alla fine, di modelli e prototipi. Accentrati qui tutti i processi fino a ieri esternalizzati o decentrati, per tagliare i tempi e produrre di più, ora che il mercato sembra chiedere senza sosta i capi della griffe fiorentina.
Un paio di scarpe da ginnastica di Gucci passa la giornata a camminare calzato da una strana macchina, ma le sneakers non vanno da nessuna parte. Siamo nel laboratorio degli stress test del nuovo Art Lab di Gucci. Quella macchina che simula la camminata per verificare la resistenza dei materiali dei prototipi si chiama «scarpometro» ed è solo una delle dotazioni hi-tech dell’enorme stabilimento aperto a Scandicci.
Dentro è un brulicare di persone con su uno strano spolverino. «Maison de l’amour» si legge sulle spalle. È chiaro che è la firma di Alessandro Michele, l’iconoclasta col sorriso, il direttore artistico che, dopo aver riscritto la storia del brand chiamandolo Guccy, ha messo «l’amour» nelle sue collezioni (L’Aveugle Par Amour, cieco per amore, è uno degli slogan finiti praticamente ovunque). Amour e sorrisi: siamo in una fabbrica di alta moda ma il clima non sembra quello de Il diavolo veste Prada, mentre si attraversa lo stabilimento passando dalle zone di prototipia, ricerca e sviluppo, laboratorio per test (quello dello scarpometro), laboratorio accessori, formificio interno e tacchifiriecco cio, laboratorio bambù (icona Gucci, ancora piegato e finito a mano con la fiamma) e preindustrializzazione. Artigiani e robot, che sia questo il 4.0? Niente visioni apocalittiche da macchine che rimpiazzano tutta la forza lavoro: «L’automazione — dicono — non supererà mai il 30-35%».
Un esempio? Le scarpe: si parte dalle forme, sia in legno che in plastica, sbozzate da una precisissima fresa computerizzata e poi rifinite a mano dagli artigiani. Subito dopo la tecnologia: un laser scannerizza quella forma che compare in 3D sugli schermi degli addetti che la perfezionano al computer. Da qui alla forma «perfetta» che poi servirà ai modellisti che, quando avranno completato il modello, lo porteranno in sala fitting. Qui tocca a Giulia: lei, col suo piede numero 37, ogni giorno indossa su una piccola passerella i prototipi, mentre gli industrializzatori come Gabriele, verificano che tutto sia a posto in base alle sue indicazioni. Insomma, se Giulia non è comoda si torna indietro: tutto da rifare.
Tra queste grandi vetrate su piccoli giardini un po’ fengshui, si superano i vecchi modelli produttivi (sono andati a studiare fabbriche in Corea e nel settore automobilistico in Germania per trovarne di nuovi). La nuova era Gucci che passa anche dalla ricerca di nuovi dipendenti (900 tra 2017 e 2018) e di nuove aziende collaboratrici (i vecchi terzisti che diventano 2.0 tanto che sono reclutati col portale diventafornitoregucci.com, mille adesioni nei primi mesi).
«Status quo non fa rima con Pinault» ha scherzato l’Ad Bizzarri. E in effetti tutti i processi che uno immaginerebbe in un’azienda di moda sono stravolti: niente capofabbrica, l’artigiano delle scarpe si confronta coi modellisti nella stanza accanto, parla con chi sta rifinendo una borsetta di coccodrillo e magari si confronta anche con il mago dei tacchi, Gianfranco, detto «mani d’oro». In Gucci da 18 anni, se capitate a una sfilata lo troverete dietro le quinte con Alessandro Michele a rifinire i suoi tacchi-gioiello con lo smalto. E pensare che in un’altra epoca (e in un’altra azienda), lui nemmeno le voleva fare le scarpe.
Industria 4.0
Qui laser e computer lavorano coi maestri «Ma l’automazione non supererà il 35%»