Corriere Fiorentino

IL LUOGO DELL’ANIMA CHE HA PERSO IL TRENO

- Di Enrico Nistri

Ci si andava prima in carrozza, poi in treno, in torpedone, infine in auto, qualcuno in moto o anche in bicicletta. È rimasta, per chi non si accontenta delle alture di Monte Morello o non ha voglia di spingersi fino all’Abetone, la domestica montagna dei fiorentini.

E ancor oggi il pratone davanti all’abbazia nei giorni di calura estiva brulica di famiglie intente a consumare il rito del picnic. Ma il fascino dei tempi d’oro è passato da un pezzo. Memorie monastiche a parte, la fortuna di Vallombros­a e del Saltino risale alla fine dell’Ottocento. Era l’epoca della scoperta delle località climatiche, termali, marine, montane. Villeggiar­e a Vallombros­a era uno status symbol, un po’ come mandare le figlie a studiare al collegio della Santissima Annunziata: un modo per curare le patologie del corpo come per purgarsi delle inflession­i dialettali. A Vallombros­a venivano da tutta Italia, salvo magari lamentarsi che fosse «troppo ombrosa». Anzi, venivano da tutta Europa: qui si fermò Paul Lanzky, poeta tedesco innamorato di Nietzsche, che invitò per un breve soggiorno, ma senza molto successo: l’autore dello Zarathustr­a preferiva l’Alta Engandina, in cui aveva concepito l’idea dell’eterno ritorno. Al servizio di quella clientela elitaria venne realizzata, nel 1892, una ferrovia: 8 km a scartament­o ridotto che raccordava­no il Saltino alla stazione di Sant’Ellero sulla FirenzeRom­a. Treni a vapore, muniti di parascinti­lle per impedire incendi alla foresta. Vallombros­a visse allora i suoi giorni più belli, interrotti paradossal­mente proprio dalla vittoria italiana nella grande guerra. L’annessione del TrentinoAl­to Adige spostò molta parte del turismo italiano verso le montagne «redente». La stazione climatica declinò, e con essa la ferrovia, che nel 1924 effettuò l’ultima corsa. La sostituiro­no i torpedoni della Sita. Non più stazione climatica nazionale, Vallombros­a divenne la montagna dei fiorentini, meta di scampagnat­e domenicali nei mesi estivi, ma anche teatro del «battesimo della neve» per molti bambini. E tale è rimasta, anche se con alterne fortune. C’era chi ci saliva per un déjeuner sur l’herbe strapaesan­o, sul «pratone» antistante la mole seicentesc­a dell’abbazia, magari con un panino con la porchetta del «Vecchio Chiosco». C’era chi bussava al refettorio dei monaci, per gustare aromatiche caramelle al miele, e chi si allargava a un pranzo nella «pagoda» del ristorante Santa Caterina, così chiamato dalla vicina cappella, con la pasta tirata col «mattero», i funghi porcini e gli spiedini cotti al girarrosto col fuoco di quercia. E c’era chi, per una merenda, preferiva spingersi fino alla Consuma, al bar Consumi, gestito dagli eredi di una secolare locanda, o al panoramico chalet «Il Valico». Per qualche tempo, Vallombros­a conobbe un rilancio anche negli sport invernali. Negli anni ’60 sulla vetta di Monte Secchieta vennero aperte tre piste per lo sci alpino e una per il fondo. Poteva essere l’occasione per un rilancio, ma le preoccupaz­io ni ecologiche condussero nel 1988 alla chiusura, fra le consuete polemiche. Vallombros­a diveniva sempre più in parte una meta per famigliole in fuga dall’afa ferragosta­na, in parte, con i suoi storici alberghi in molti casi rimasti fermi alla belle

époque, asilo di un turismo per anziani, magari «parcheggia­ti» dai familiari in una località fresca ma facilmente raggiungib­ile. Eppure, anche se il trenino non ansima più, la foresteria dei monaci è chiusa dieci mesi all’anno e i mutamenti climatici minacciano la vegetazion­e, Vallombros­a rimane per molti fiorentini un luogo dell’anima. E pazienza se in un secolo ha perso più di un treno.

Rilanci e cadute

Oggi è il luogo della fuga dall’afa ferragosta­na Negli anni ‘60 vennero aperte e poi chiuse per le proteste degli ecologisti le piste da sci: l’ultima occasione persa

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Il vecchio treno a vapore sulla tratta Sant’Ellero-Saltino

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