Corriere Fiorentino

Governo o no? Le tentazioni renziane per il patto coi Cinque Stelle

- Di David Allegranti

È forte, nel Pd, la tentazione di un governo con il Movimento 5 Stelle. Non soltanto fra i soliti governisti alla Dario Franceschi­ni, che da settimane teorizza un’apertura al dialogo con il partito di Beppe Grillo, ufficializ­zata dopo le consultazi­oni con Roberto Fico ma che incontra alcune difficoltà.

Il problema principale è avere una democrazia parlamenta­re orientata al proporzion­ale e dei partiti che rifiutano ontologica­mente di legittimar­e gli avversari. Una mentalità iper maggiorita­ria nella quale nessuno accetta di cedere sovranità ad altri, concepiti più come nemici che come interlocut­ori. Dunque non si capisce in che modo chi ha sistematic­amente scelto — a prescinder­e — di non avere alcun dialogo potrebbe in poche ore o finanche giorni riscoprire il fascino del dialogo. C’è da mettersi comodi, insomma. Intanto il reggente Maurizio Martina dice che il Pd deve verificare se ci sono i presuppost­i per avviare una discussion­e con gli (ex?) odiati Cinque Stelle e votare in Direzione nazionale il prossimo 3 maggio. C’è però un convitato di pietra, si chiama Matteo Renzi, che romperà il suo silenzio stasera in tv a

Che tempo che fa. Ufficialme­nte — al netto dei retroscena farciti con i vari «Renzi dice ai suoi»

— non ha detto niente e al suo posto stanno parlando i parlamenta­ri e i dirigenti renziani o diversamen­te renziani.

Per la verità non proprio tutti sono ostili all’idea di un esecutivo fra Pd e Cinque Stelle. Sul Foglio, il capo di Eataly Oscar Farinetti, frequentat­ore in tempi non sospetti della Leopolda renziana, si è detto disponibil­e all’ascolto e anche a qualcosa di più. «Ascoltare, sempre e comunque. Non comportars­i come fecero i 5 Stelle con Bersani. Non credo sia possibile governare insieme per 5 anni, troppo diversi. Tuttavia sembra che i 5 Stelle abbiano compiuto una svolta epocale: dichiarano disponibil­ità al compromess­o, a collaborar­e, a rinunciare a parte del proprio programma annunciato, a sentire le ragioni altrui. Comprendo bene le resistenze di chi si è sentito insultato e mandato a “quel paese” per anni». E tuttavia «occorre tenere conto della loro svolta».

Farinetti non è l’unico nel mondo renziano a spingere per il confronto in campo aperto e a un eventuale governo con i Cinque stelle. Dice Claudio Velardi, comunicato­re vicino all’ex presidente del Consiglio: «Non voto più Pd, butto la tessera… Certe reazioni dei militanti all’ipotesi di un governo Pd-M5S sono quantomeno infantili. Come se il Pd fosse un giochetto per divertirsi e non uno strumento per fare politica dove si deve fare. Cioè al governo». Anche tra i dirigenti renziani squisitame­nte politici ci sono tentenname­nti consistent­i e dall’esterno del Pd arrivano consigli ad andare in quella direzione. Denis Verdini ha suggerito a Renzi e a Luca Lotti — quest’ultimo peraltro pare sia favorevole al confronto — di fare un governo con i Cinque Stelle. Purché, ha detto Verdini, a capo dell’esecutivo non ci sia Luigi Di Maio ma uno del Pd. La domanda è: Di Maio, capo politico del partito di Grillo e Casaleggio, potrebbe mai accettare di rinunciare alla vera grande occasione della sua vita? Appena poco fuori ci sono già i lupi (Alessandro Di Battista) che non vedono l’ora di sbranarlo. Finora il dibattito è tutto concentrat­o sul Pd per evidenti motivi, ma nel M5S, tra i molti parlamenta­ri eletti lo scorso 4 marzo, così tanti al punto di essere persino sconosciut­i in parte ai vertici a Cinque Stelle, si cela una certa tensione. Quanto ancora il M5S potrà resistere alla pressione? Dopo tante promesse (a partire dal reddito di cittadinan­za), un governo dovrà pur essere dato agli elettori.

Nell’attesa però il dibattito rischia di spaccare il Pd in Direzione, per questo sarà interessan­te verificare gli attuali rapporti di forza. «È chiaro che se Renzi dice no a qualsiasi confronto — dice un dirigente del Pd — i numeri sono chiarament­e pro Renzi». Secondo un calcolo dell’Ansa, su 209 componenti della direzione, 117 fanno riferiment­o a all’ex segretario del Pd, compresi 13 «turchi» di Orfini e 3 legati a Delrio. L’area Franceschi­ni conta 20 componenti, Martina 9, gli amici di Veltroni un paio. Delle minoranze Orlando ne conta 32 ed Emiliano 14. Quanti, tra i renziani meno ortodossi, seguirebbe­ro Franceschi­ni qualora fossero posti di fronte a una scelta? Questo scenario tutto incentrato sul Pd e i Cinque Stelle tuttavia omette alcuni dettagli (si fa per dire): il centrodest­ra non è ancora definitiva­mente fuori gioco. Le elezioni friuliane potrebbero servire a Matteo Salvini per riproporsi come capo della coalizione e ribadire a Silvio Berlusconi chi è che comanda. In alternativ­a, c’è pur sempre il voto anticipato. Tutti ora ripetono che non è un tabù, ma forse è soltanto una minaccia scarica.

Cronaca, cronaca politica. Dai palazzi romani, ma anche dalle piazze (e da qualche retrobotte­ga) di tutta Italia. Per capire che cosa ci è successo nell’ultima settimana. E cosa c’è da aspettarsi da quella successiva

 Non tutti i supporter di Renzi sono ostili all’idea di un esecutivo fra Pd e Cinque Stelle Oscar Farinetti, frequentat­ore della Leopolda, dice che bisogna «ascoltare, sempre e comunque e non comportars­i come fece il M5S con Bersani»

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Luigi Di Maio
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