Governo o no? Le tentazioni renziane per il patto coi Cinque Stelle
È forte, nel Pd, la tentazione di un governo con il Movimento 5 Stelle. Non soltanto fra i soliti governisti alla Dario Franceschini, che da settimane teorizza un’apertura al dialogo con il partito di Beppe Grillo, ufficializzata dopo le consultazioni con Roberto Fico ma che incontra alcune difficoltà.
Il problema principale è avere una democrazia parlamentare orientata al proporzionale e dei partiti che rifiutano ontologicamente di legittimare gli avversari. Una mentalità iper maggioritaria nella quale nessuno accetta di cedere sovranità ad altri, concepiti più come nemici che come interlocutori. Dunque non si capisce in che modo chi ha sistematicamente scelto — a prescindere — di non avere alcun dialogo potrebbe in poche ore o finanche giorni riscoprire il fascino del dialogo. C’è da mettersi comodi, insomma. Intanto il reggente Maurizio Martina dice che il Pd deve verificare se ci sono i presupposti per avviare una discussione con gli (ex?) odiati Cinque Stelle e votare in Direzione nazionale il prossimo 3 maggio. C’è però un convitato di pietra, si chiama Matteo Renzi, che romperà il suo silenzio stasera in tv a
Che tempo che fa. Ufficialmente — al netto dei retroscena farciti con i vari «Renzi dice ai suoi»
— non ha detto niente e al suo posto stanno parlando i parlamentari e i dirigenti renziani o diversamente renziani.
Per la verità non proprio tutti sono ostili all’idea di un esecutivo fra Pd e Cinque Stelle. Sul Foglio, il capo di Eataly Oscar Farinetti, frequentatore in tempi non sospetti della Leopolda renziana, si è detto disponibile all’ascolto e anche a qualcosa di più. «Ascoltare, sempre e comunque. Non comportarsi come fecero i 5 Stelle con Bersani. Non credo sia possibile governare insieme per 5 anni, troppo diversi. Tuttavia sembra che i 5 Stelle abbiano compiuto una svolta epocale: dichiarano disponibilità al compromesso, a collaborare, a rinunciare a parte del proprio programma annunciato, a sentire le ragioni altrui. Comprendo bene le resistenze di chi si è sentito insultato e mandato a “quel paese” per anni». E tuttavia «occorre tenere conto della loro svolta».
Farinetti non è l’unico nel mondo renziano a spingere per il confronto in campo aperto e a un eventuale governo con i Cinque stelle. Dice Claudio Velardi, comunicatore vicino all’ex presidente del Consiglio: «Non voto più Pd, butto la tessera… Certe reazioni dei militanti all’ipotesi di un governo Pd-M5S sono quantomeno infantili. Come se il Pd fosse un giochetto per divertirsi e non uno strumento per fare politica dove si deve fare. Cioè al governo». Anche tra i dirigenti renziani squisitamente politici ci sono tentennamenti consistenti e dall’esterno del Pd arrivano consigli ad andare in quella direzione. Denis Verdini ha suggerito a Renzi e a Luca Lotti — quest’ultimo peraltro pare sia favorevole al confronto — di fare un governo con i Cinque Stelle. Purché, ha detto Verdini, a capo dell’esecutivo non ci sia Luigi Di Maio ma uno del Pd. La domanda è: Di Maio, capo politico del partito di Grillo e Casaleggio, potrebbe mai accettare di rinunciare alla vera grande occasione della sua vita? Appena poco fuori ci sono già i lupi (Alessandro Di Battista) che non vedono l’ora di sbranarlo. Finora il dibattito è tutto concentrato sul Pd per evidenti motivi, ma nel M5S, tra i molti parlamentari eletti lo scorso 4 marzo, così tanti al punto di essere persino sconosciuti in parte ai vertici a Cinque Stelle, si cela una certa tensione. Quanto ancora il M5S potrà resistere alla pressione? Dopo tante promesse (a partire dal reddito di cittadinanza), un governo dovrà pur essere dato agli elettori.
Nell’attesa però il dibattito rischia di spaccare il Pd in Direzione, per questo sarà interessante verificare gli attuali rapporti di forza. «È chiaro che se Renzi dice no a qualsiasi confronto — dice un dirigente del Pd — i numeri sono chiaramente pro Renzi». Secondo un calcolo dell’Ansa, su 209 componenti della direzione, 117 fanno riferimento a all’ex segretario del Pd, compresi 13 «turchi» di Orfini e 3 legati a Delrio. L’area Franceschini conta 20 componenti, Martina 9, gli amici di Veltroni un paio. Delle minoranze Orlando ne conta 32 ed Emiliano 14. Quanti, tra i renziani meno ortodossi, seguirebbero Franceschini qualora fossero posti di fronte a una scelta? Questo scenario tutto incentrato sul Pd e i Cinque Stelle tuttavia omette alcuni dettagli (si fa per dire): il centrodestra non è ancora definitivamente fuori gioco. Le elezioni friuliane potrebbero servire a Matteo Salvini per riproporsi come capo della coalizione e ribadire a Silvio Berlusconi chi è che comanda. In alternativa, c’è pur sempre il voto anticipato. Tutti ora ripetono che non è un tabù, ma forse è soltanto una minaccia scarica.
Cronaca, cronaca politica. Dai palazzi romani, ma anche dalle piazze (e da qualche retrobottega) di tutta Italia. Per capire che cosa ci è successo nell’ultima settimana. E cosa c’è da aspettarsi da quella successiva
Non tutti i supporter di Renzi sono ostili all’idea di un esecutivo fra Pd e Cinque Stelle Oscar Farinetti, frequentatore della Leopolda, dice che bisogna «ascoltare, sempre e comunque e non comportarsi come fece il M5S con Bersani»