I CAVALLI DELLA CAPITALE E L’ARTE DI ESSERE CHARLES BUKOWSKI
Quando è stato che le corse di cavalli hanno perso il loro fascino? Anche noi nati negli anni ’70, che al liceo facevamo forca per giocare a biliardo e avevamo una fascinazione automatica per qualunque cosa mandasse su tutte le furie genitori e insegnanti, mai fummo sfiorati dall’idea di andare a giocare ai cavalli. Solo qualche anno dopo, leggendo Bukowski, la cui passione per le corse era seconda solo a quella per l’alcol, ci venne lo sghiribizzo di provare, ma quando andammo al Visarno trovammo chiuso, e la faccenda morì lì. Negli anni ’70 precedenti, quelli dell’800, l’ippica era invece qualcosa di molto importante, anche a causa della passione per essa di Vittorio Emanuele II, che nel periodo di Firenze Capitale non mancava una corsa al Visarno e fu sponsor di un ingrandimento che lo rese il maggior ippodromo d’Italia, in un periodo in cui la città si scopriva antesignana di ogni sport alla moda: dal tennis, che secondo il Velluti si praticava già nel 1326 «secondo il modo detto Tenes», al golf, derivato dal gioco nostrano del «maglio», al ben noto calcio fiorentino, fino alle corse, coi nostri antichi palî che al Visarno trovavano forma moderna e futuribile, tale da far scrivere alla Gazzetta ippica che «la società Fiorentina delle Corse è quella che più di ogni altra tiene alta la passione del cavallo in Italia». Lo spostamento della capitale a Roma fece conoscere al circolo una crisi, che pur con lentezza ci traghetta fino all’oggi. A poco valsero infatti i lavori del dopoguerra, volti a ripristinare la ghiaia portata via dagli Alleati, o le cinquantamila tonnellate di fango secco tolte a mano dopo l’alluvione per non danneggiare le radici degli alberi: il declino dell’ippica continuò, lento ma regolare. Se la mia generazione vide finalmente come era fatto l’Ippodromo, fu solo grazie alla sua trasformazione in un localaccio ruspante, che ebbe almeno il merito di dotare la città di un luogo in cui si potesse sentire dell’elettronica su base settimanale, sebbene, percorrendo il viale del Visarno, il pensiero vada a un’altra mancanza, quella di un utilizzo sensato per l’Anfiteatro delle Cascine, oltre che per l’Ippodromo: era qui infatti che parcheggiavamo quando ogni sera vi si teneva un concerto gratuito, il degrado era combattuto dall’unico vero argine che gli si può apporre, quello della vitalità, e restare a Firenze in estate appariva addirittura un’opzione plausibile.
Le rubriche «Storie d’amore» e «Ritratti dimenticati» tornano domenica prossima