Savinio, che beffa a Rossini
Ripubblicati gli scritti musicali di «Scatola sonora» con nuovi contributi dal Vieusseux Recensioni, riflessioni, ritratti e lampi di immagini lapidarie dentro la scena del primo ‘900
«La musica è elemento essenziale dell’educazione. Non può esservi civiltà senza musica. La musica insegna a vivere, nel senso più profondo e metafisico della parola. E quella sola civiltà sarebbe perfetta ove tutto quanto, uomini e cose, si muovesse a suon di musica». È uno dei temi più cari ad Alberto Savinio (1891-1952), che nella realtà si chiamava Andrea De Chirico (e dunque fu fratello di Giorgio): pianista, compositore, pittore, critico musicale, figura di primo piano nella cultura del ‘900 italiano. Quelle sue parole si ritrovano nell’incipit di Scatola sonora (a cura di Francesco Lombardi, con un saggio di Mila De Santis, Il Saggiatore), raccolta di scritti musicali di Savinio presentata in una nuova, elegante pubblicazione: vi leggiamo gli articoli già apparsi nella prima edizione (1955) ma adesso stampati nella loro versione originale e senza i tagli di allora, e affiancati da altri cinquantadue contributi finora rimasti sconosciuti. Grazie alla schedatura e agli studi del Fondo Savinio (depositato presso l’Archivio Contemporaneo Alessandro Bonsanti del Vieusseux) che sono stati condotti diversi anni dopo quella prima edizione, è stato infatti possibile individuare, salvo poche eccezioni, la destinazione e la fonte originarie degli scritti.
La scatola sonora era il titolo della rubrica che Savinio teneva sul mensile Il Secolo XX, nel periodo 1925-26, e che qui racchiude un consistente corpus di recensioni, di ritratti di musicisti e di interpreti, di considerazioni e riflessioni sulla musica in generale, scritti fra quei primi anni ‘20 e il 1949. Fu soprattutto negli anni della Seconda Guerra Mondiale che la penna di Savinio critico musicale conobbe una nuova vitalità, all’incirca nello stesso periodo in cui era tornato a comporre. La musica, come creazione, l’aveva abbandonata da giovane, pur essendosi rivelato anche un enfant prodige come pianista, perché la reputava sirena seducente quanto pericolosa, e temeva di esserne soggiogato. Diventò pittore, scrittore, giornalista e la musica, pur ripudiata, diventò l’argomento principe della sua attività letteraria. Un rapporto di amore-odio, di ripulse e infatuazioni, che accompagnò Savinio per tutta la vita. In queste pagine, dove musica e vita si rincorrono, il Savinio musicista, il pittore e il letterato finiscono col convivere e confrontarsi, e ciascuno parla con la propria voce.
Savinio si dichiarava, ma certo non lo era, un dilettante, e ricorreva a una scrittura diretta e chiara; ma illuminata spesso dai lampi di immagini vive, che gli derivavano dalla sua fantasia visiva di pittore. Lapidarie ma efficacissime, come quando scrive della Sinfonia «Pastorale» di Beethoven: «È un sistema a giostra e a uso degli amatori dei bei paesaggi; un’anticipazione dell’otto volante». Ma Beethoven rimane per Savinio uno degli autori prediletti, assieme a Mozart e Verdi: è l’amico che «non ci abbandona mai, e «anche se non lo vediamo, anche se non pensiamo a lui, lo sentiamo presente tuttavia e consolatore». Viceversa, di Wagner si sforza di riconoscere le qualità ma ritenendole «condite, al sugo, drogatissime» e per questo tali da «portare a una pericolosa disfunzione dello stomaco»; Ravel lo ha in uggia («bisognerà fare l’esame clinico di questa distillazione del nulla che ha fatto salire a tanta fama Ravel»), e per Rossini non nutre proprio simpatia: «Quando nelle sinfonie di Rossini attacca il temino allegro con le notine ripetute (…) io chiudo gli occhi e vedo un trenino primitivo, con la vaporiera davanti il fumaiolo a collo di struzzo coperchiato da uno scolapasta, e i vagoni dietro a giardiniera, le tendine svolazzanti, e pieni di tutti grassi Rossini panciuti e ridanciani, che tirano baci alla folla e gridano freddure». E ancora immagini, metafore tali da solleticare i più diversi ambiti sensoriali, quando Savinio scrive di Chopin: «Nulla somiglia tanto alla nascita della musica di Chopin, quanto l’apparizione dell’acqua. E se Chopin ha scelto il pianoforte come suo fedele strumento, è perché il pianoforte è il più liquido degli strumenti, e ogni sua nota cade giù come una goccia». Gli scritti raccolti in Scatola sonora sono raggruppati per autori e argomenti (c’è anche una sezione «Musica e Media», dove parla dell’avvento della radio e, con malcelata diffidenza, del grammofono, «musica con la sua sonorità nuova e intonata al carattere della vita attuale»), e attraverso quei blocchi ci arriva il racconto vivo del mondo musicale di quella prima metà del ‘900. Il resoconto di un’opera o di un concerto ascoltati alla Scala, al Teatro Adriano di Roma, alla Settimana Senese, al Maggio Musicale, portano in sé, è vero, valutazioni significative («Nessun pianista era mai riuscito che io sappia a trasformare il pianoforte in flauto e lui, Michelangeli, ci è riuscito», a proposito del tocco alato di Arturo Benedetti Michelangeli), ma spesso il commento puramente critico è relegato, spiccio, alla fine. La critica musicale non come giudizio, ma come stimolo per l’intelletto. «A Savino del resto non interessa la spiegazione o l’illustrazione ‘oggettiva’ dell’opera musicale», scrive Mila De Santis nel suo saggio, «quanto piuttosto usarla a pretesto per esporre la propria visione del mondo e dell’arte». E la critica diventa così arte letteraria. «Chi ha detto che la sola funzione della critica è di criticare?», scrive lo stesso Savinio. «La critica ha una funzione molto più importante, quella di inventare».
Quando nelle Sinfonie attacca il termine allegro con le notine ripetute chiudo gli occhi e vedo un trenino con i vagoni pieni di tutti grassi Rossini panciuti
Beethoven è l’amico che non ci abbandona mai e anche se non lo vediamo, e non pensiamo a lui lo sentiamo presente e consolatore