Rossi-Lega, che putiferio per una foto
Un consigliere del Carroccio: voleva tirarmi un pugno. La replica: falso, fascisti
«Rossi ha detto che voleva tirarmi un pugno in faccia», accusa il portavoce delle opposizioni in Consiglio regionale Jacopo Alberti (Lega). «Falso, io non ho minacciato nessuno — risponde il governatore — ma quello che hanno fatto oggi in aula due leghisti è figlio di pulsioni fascistiche che mirano a colpire le Istituzioni». È stata «solo» una rissa verbale, ma le parole che sono volate ieri durante la seduta dell’assemblea toscana sono pesantissime.
Tutto inizia quando Rossi arriva in Consiglio e due esponenti leghisti, la capogruppo Elisa Montemagni e Alberti, lo fotografano postando poi l’immagine sui social network. «Abbiamo da discutere valanghe di atti su crisi aziendali, la costa Toscana soffre, le nostre città sono sporche e invase dai clandestini. Ma lui, Enrico Rossi, entra in aula dopo mesi che non lo vediamo e ride. Ci aiutate a mandarli a casa nel 2020?», scrive Montemagni. E Alberti fa un post simile. La seduta, fin lì, è stata molto tranquilla. Ma quando Rossi legge i post dei leghisti scoppia il caos. Il governatore inizia a protestare verso i banchi della Le- ga. «Rossi, urlando, interrompe i lavori del Consiglio ed inveisce contro il capogruppo della Lega Montemagni: “Te che cazzo scrivi?”», raccontano i leghisti. In un crescendo d’ira, il governatore parla di «politica schifosa» e chiede al presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani di prendere provvedimenti. Giani sospende la seduta e convoca subito la conferenza dei capigruppi. I consiglieri Monia Monni e Francesco Gazzetti, entrambi Pd, accompagnano Rossi fuori dall’aula. Alberti lo provoca: «Presidente, la sua rivoluzione socialista (titolo del libro di Rossi, ndr) non prevede probabilmente la democrazia». Ed è a quel punto che, accusa il portavoce delle opposizioni, Rossi pronuncia la frase dei pugni. (Secondo altri presenti, che chiedono di restare anonimi, la frase è stata un’altra: «A quello gli metto le mani nel viso»). Rossi smentisce seccamente e contrattacca: «Se viene meno quel briciolo di rispetto reciproco e si pensa di prendere voti indicando al linciaggio le persone vuol dire che il Consiglio smette di essere un luogo di discussione ma solo di aggressione». E lo stesso fanno Gazzetti («Falso che Rossi sia sempre assente, era presente anche alla penultima seduta») e Giani. «Io quella frase non l’ho sentita. In ogni caso in Consiglio serve rispetto e quando si sta in aula si partecipa alla discussioni, non si scrive sui social network», dice il presidente del Consiglio, che ricorda come lo statuto dell’assemblea vieti di comunicare con l’esterno durante una seduta. Saranno vietati gli smartphone d’ora in poi? «No, faccio un appello al buonsenso», risponde Giani.
Presidente, la sua “Rivoluzione socialista” non prevede probabilmente la democrazia