L’altro Pecci
Viaggio nei depositi del Centro d’arte: tesori e tante rarità
Un viaggio nell’arte contemporanea «nascosta». Abbiamo camminato tra i tesori del magazzino interrato che custodisce più di mille preziose opere della collezione del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. Praticamente quasi tutto il patrimonio, se pensiamo che le opere esposte nel museo sono solo il 5 per cento.
Un patrimonio conservato con cura all’ombra delle esibizioni dei piani alti: una raccolta frutto di acquisizioni e comodati d’uso, oltre che di accordi con gli artisti e i collezionisti di tutto il mondo che hanno esposto qui.
È da questo luogo nascosto che arrivano le sorprese che il museo ha intenzione di riservare ai suoi visitatori in occasione del trentennale dalla sua nascita, che sarà celebrato con grandi eventi dal 23 giugno. Le foto di Nobuyoshi Araki, i disegni di Leonardo Savioli, i costumi da pecora e maiale per le performance Michael Fliri (chiusi nella sua valigia di pelle). Avanzando tra i corridoi e gli scaffali di questi sotterranei, guidati da luci tenui che riescono a mettere a fuoco un solo itinerario alla volta, ci s’imbatte nella bellezza e nella provocazione. In un angolo spuntano le opere di Sol LeWitt, in quello di fronte – di rimbalzo – i pezzi di scenario lunare di Fabio Mauri. Tutti frammenti pulsanti che sono in qualche modo già storia dell’arte contemporanea, collocati nelle viscere del museo: quel deposito che — almeno in principio — non doveva nemmeno esistere. E che è divenuto un vero tesoro nascosto. «Sto cominciando a conoscere in queste settimane la grande collezione: solo per capire a cosa ci troviamo di fronte, si può affermare che il Pecci — spiega la neo direttrice del museo Cristiana Perrella — è il centro italiano che ha la più importante collezione di architettura radicale. Ma potrei citare altri importanti nuclei di opere acquisite o conservate qui, come quello della poesia visiva che abbiamo catalogato grazie a Carlo Palli, un importante collezionista locale».
Stefano Pezzato, già direttore del museo, ha le chiavi. È lui il conservatore, l’uomo che mette ordine alla ricchezza della collezione. Guidati da Pezzato abbiamo compiuto un viaggio inedito nello spazio interrato. «Questa è la parte invisibile — spiega — dietro la quale c’è un grande lavoro di catalogazione. L’idea della direttrice è quella di rendere nei prossimi mesi più funzionale, protetta e produttiva questa porzione del museo». Il Centro non era nato con l’intento di creare una collezione, tanto è vero che negli anni Ottanta, l’architetto che ideò il primo edificio — Italo Gamberini — dedicò a questa funzione solo un piccolo caveau a fianco al parcheggio sotterraneo. Un forziere con alcune rastrelliere per contenere quadri, in vista degli anni che dal 1989 in poi avrebbero visto crescere il Centro. Ma l’impronta dell’arte contemporanea di questi anni e le continue acquisizione del Pecci hanno rivoluzionato la prospettiva: il parcheggio è stato via via «mangiato» dall’esigenza di stipare opere, che nel frattempo sono divenute sempre più grandi, numerose e composite. «Presto l’ultima navata del sotterraneo verrà chiusa. Una parte degli spazi sarà dedicata alla ricerca e una porzione è destinata agli archivi docu-
Pezzato Una collezione cresciuta nel tempo, presto gli spazi saranno più funzionali
mentali. Nei prossimi mesi — anticipa Pezzato — arriverà qui anche il preziosissimo archivio di Lara Vinca Masini».
L’insieme della collezione del Centro comprende attualmente 1.057 opere: 734 sono di proprietà del Pecci e 323 risultano in comodato d’uso. Sono rappresentati 201 artisti italiani e 129 stranieri. «Io credo nelle collezioni che raccontano il luogo su cui insistono. In questo momento — spiega ancora la direttrice Perrella — il budget per il futuro è tutto da capire: considero molto importante l’aspetto delle acquisizioni e anche se non sappiamo ancora bene come, sono certa che sarà al centro della nostra attività».
Nel tragitto compiuto in profondità — tra installazioni smontate, e mega opere imballate — capita di scovare anche l’involucro della più fruttuosa delle acquisizioni del museo. Il caso, che è anche una sorta di metafora del trentennale del museo, vuole che l’opera con maggiore plus valenza potenziale sia stata acquistata proprio nel corso della prima mostra del Pecci, nel 1989: si tratta di Here and there di Anish Kapoor, sulla cui cassa di spedizione campeggia ancora il nome della Lisson Gallery, da cui proveniva. «L’opera fu acquistata mettendosi d’accordo con l’artista per 15 milioni di lire. Oggi — racconta il conservatore — vale certamente più di un milione e mezzo di euro. Nel 2005, in preda ad alcune difficoltà economiche, si era pensato persino di venderla per risollevare le sorti della cassa, ma fortunatamente non è successo».
Presto cominceranno i lavori per l’ampliamento e la messa in sicurezza del magazzino — che avrà anche un punto dedicato al restauro delle opere deteriorate — mentre nei giorni della celebrazione del trentennale alcuni «gioielli» potrebbero uscire dall’oscurità della città invisibile e far capolino ai piani superiori.