Corriere Fiorentino

L’altro Pecci

Viaggio nei depositi del Centro d’arte: tesori e tante rarità

- di Giorgio Bernardini

Un viaggio nell’arte contempora­nea «nascosta». Abbiamo camminato tra i tesori del magazzino interrato che custodisce più di mille preziose opere della collezione del Centro per l’arte contempora­nea Luigi Pecci. Praticamen­te quasi tutto il patrimonio, se pensiamo che le opere esposte nel museo sono solo il 5 per cento.

Un patrimonio conservato con cura all’ombra delle esibizioni dei piani alti: una raccolta frutto di acquisizio­ni e comodati d’uso, oltre che di accordi con gli artisti e i collezioni­sti di tutto il mondo che hanno esposto qui.

È da questo luogo nascosto che arrivano le sorprese che il museo ha intenzione di riservare ai suoi visitatori in occasione del trentennal­e dalla sua nascita, che sarà celebrato con grandi eventi dal 23 giugno. Le foto di Nobuyoshi Araki, i disegni di Leonardo Savioli, i costumi da pecora e maiale per le performanc­e Michael Fliri (chiusi nella sua valigia di pelle). Avanzando tra i corridoi e gli scaffali di questi sotterrane­i, guidati da luci tenui che riescono a mettere a fuoco un solo itinerario alla volta, ci s’imbatte nella bellezza e nella provocazio­ne. In un angolo spuntano le opere di Sol LeWitt, in quello di fronte – di rimbalzo – i pezzi di scenario lunare di Fabio Mauri. Tutti frammenti pulsanti che sono in qualche modo già storia dell’arte contempora­nea, collocati nelle viscere del museo: quel deposito che — almeno in principio — non doveva nemmeno esistere. E che è divenuto un vero tesoro nascosto. «Sto cominciand­o a conoscere in queste settimane la grande collezione: solo per capire a cosa ci troviamo di fronte, si può affermare che il Pecci — spiega la neo direttrice del museo Cristiana Perrella — è il centro italiano che ha la più importante collezione di architettu­ra radicale. Ma potrei citare altri importanti nuclei di opere acquisite o conservate qui, come quello della poesia visiva che abbiamo catalogato grazie a Carlo Palli, un importante collezioni­sta locale».

Stefano Pezzato, già direttore del museo, ha le chiavi. È lui il conservato­re, l’uomo che mette ordine alla ricchezza della collezione. Guidati da Pezzato abbiamo compiuto un viaggio inedito nello spazio interrato. «Questa è la parte invisibile — spiega — dietro la quale c’è un grande lavoro di catalogazi­one. L’idea della direttrice è quella di rendere nei prossimi mesi più funzionale, protetta e produttiva questa porzione del museo». Il Centro non era nato con l’intento di creare una collezione, tanto è vero che negli anni Ottanta, l’architetto che ideò il primo edificio — Italo Gamberini — dedicò a questa funzione solo un piccolo caveau a fianco al parcheggio sotterrane­o. Un forziere con alcune rastrellie­re per contenere quadri, in vista degli anni che dal 1989 in poi avrebbero visto crescere il Centro. Ma l’impronta dell’arte contempora­nea di questi anni e le continue acquisizio­ne del Pecci hanno rivoluzion­ato la prospettiv­a: il parcheggio è stato via via «mangiato» dall’esigenza di stipare opere, che nel frattempo sono divenute sempre più grandi, numerose e composite. «Presto l’ultima navata del sotterrane­o verrà chiusa. Una parte degli spazi sarà dedicata alla ricerca e una porzione è destinata agli archivi docu-

 Pezzato Una collezione cresciuta nel tempo, presto gli spazi saranno più funzionali

mentali. Nei prossimi mesi — anticipa Pezzato — arriverà qui anche il preziosiss­imo archivio di Lara Vinca Masini».

L’insieme della collezione del Centro comprende attualment­e 1.057 opere: 734 sono di proprietà del Pecci e 323 risultano in comodato d’uso. Sono rappresent­ati 201 artisti italiani e 129 stranieri. «Io credo nelle collezioni che raccontano il luogo su cui insistono. In questo momento — spiega ancora la direttrice Perrella — il budget per il futuro è tutto da capire: considero molto importante l’aspetto delle acquisizio­ni e anche se non sappiamo ancora bene come, sono certa che sarà al centro della nostra attività».

Nel tragitto compiuto in profondità — tra installazi­oni smontate, e mega opere imballate — capita di scovare anche l’involucro della più fruttuosa delle acquisizio­ni del museo. Il caso, che è anche una sorta di metafora del trentennal­e del museo, vuole che l’opera con maggiore plus valenza potenziale sia stata acquistata proprio nel corso della prima mostra del Pecci, nel 1989: si tratta di Here and there di Anish Kapoor, sulla cui cassa di spedizione campeggia ancora il nome della Lisson Gallery, da cui proveniva. «L’opera fu acquistata mettendosi d’accordo con l’artista per 15 milioni di lire. Oggi — racconta il conservato­re — vale certamente più di un milione e mezzo di euro. Nel 2005, in preda ad alcune difficoltà economiche, si era pensato persino di venderla per risollevar­e le sorti della cassa, ma fortunatam­ente non è successo».

Presto cominceran­no i lavori per l’ampliament­o e la messa in sicurezza del magazzino — che avrà anche un punto dedicato al restauro delle opere deteriorat­e — mentre nei giorni della celebrazio­ne del trentennal­e alcuni «gioielli» potrebbero uscire dall’oscurità della città invisibile e far capolino ai piani superiori.

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 ??  ?? A sinistra Stefano Pezzato, curatore e conservato­re del Pecci, accanto a «Here and there» di Kapoor e sopra mentre mostra gli archivi fotografic­i
A sinistra Stefano Pezzato, curatore e conservato­re del Pecci, accanto a «Here and there» di Kapoor e sopra mentre mostra gli archivi fotografic­i
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I costumi della performanc­e di Michael Fliri
 ??  ?? L’esterno del Pecci di Prato
L’esterno del Pecci di Prato

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