Corriere Fiorentino

LA «MOGLIE» DEL VESCOVO DONNA AL COMANDO (SENZA GIRI DI PAROLE)

- di Vanni Santoni

Raramente la toponomast­ica fiorentina fornisce indicazion­i dirette: di solito, in linea con la natura stratifica­ta della città, manifesta, piuttosto, codici da interpreta­re. Via delle Badesse, ad esempio, quel breve tratto che unisce via dei Pandolfini e via San Pier Maggiore, già pone questioni: perché Badesse e non Badessa? In fondo le badesse non fanno categoria, essendocen­e una per convento. Chi sono, allora, queste Badesse? Per capirlo è necessario ricordare che il loro avvicendam­ento dettava i tempi della vita religiosa cittadina. La badessa di San Pier Maggiore aveva infatti un’importanza tale da incarnare, in un concetto sul filo dell’eresia, la diocesi fiorentina. Quando un nuovo vescovo doveva insediarsi, gli si imponeva di giungere in città dalla parte di San Pier Maggiore, accompagna­to da membri della famiglia Del Bianco (e, dopo la loro estinzione, da quelli della famiglia dei Pazzi); un Del Bianco, e poi un Pazzi, era palafrenie­re al fianco della giumenta bianca cavalcata dal futuro vescovo fino alla chiesa. Lì un trono con due stalli: uno per la badessa, l’altro per il vescovo. A quel punto entrava in scena il figlio maggiore della famiglia degli Albizi, signori del borgo attiguo, a reggere la mano della badessa mentre il vescovo le infilava nel dito l’anello, simbolo dell’unione con la chiesa fiorentina. Seguiva nel monastero un vero e proprio banchetto nuziale, al termine del quale la badessa faceva giungere, prima in Duomo per la benedizion­e, e poi nel palazzo vescovile, un letto di damasco rosso. Per questo rituale, dal sapore pagano, o meglio neoplatoni­co, con le sue suggestion­i sensuali e magiche fin troppo evidenti, i fiorentini chiamarono le badesse «spose del vescovo», e il loro impatto nell’immaginari­o cittadino fu ben superiore di quello che poteva recare il semplice ruolo di comando su uno dei molti conventi del centro. Così, quando il monastero fu eliminato dai Lorena con la chiesa di San Pier Maggiore, abbattuta con la scusa di una trave pericolant­e, la memoria di queste «spose alchemiche» rimase, e si trasferì nel toponimo.

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