Addio Poldino
Fiesole in lutto per la morte di Leopoldo Paciscopi. Tre mesi fa la scomparsa della moglie
Fiesole in lutto per Paciscopi, scrittore-partigiano
«Per Fiesole è un giorno FIESOLE tristissimo». La sindaca Anna Ravoni commenta così la morte di Leopoldo Paciscopi, giornalista, partigiano, pittore, critico cinematografico, uno tra i più importanti intellettuali fiorentini. Lunedì, a quasi 93 anni di età, Paciscopi ha deciso di togliersi la vita. Chi gli era vicino racconta che «la sua non è stata una scelta dettata dalla disperazione, ma una decisione lucida».
Tre mesi fa, alla camera ardente della moglie Gigliola Melani, scomparsa dopo decenni di malattia, Leopoldo sorrideva: «È un giorno felice— disse — finalmente Gigliola ha smesso di soffrire». Lui, rimasto solo, dopo una vita di avventure, di imprese, di riconoscimenti, anche di tante porte chiuse in faccia per la sua impenitente disobbedienza, ha deciso che non ci sarà alcun funerale.
Quando il Tribunale di Firenze darà il via libera — la salma è all’istituto di medicina legale di Careggi — sarà cremato e l’urna sistemata accanto a quella della moglie al cimitero di Fiesole. Poldino, così lo chiamavano gli amici, nasce nel 1925. Figlio di un attore squattrinato ma viveur, cresce tra i bar di piazza Repubblica dove passa le giornate ascoltando le conversazioni di Ardengo Soffici, Primo
La sindaca Artista, giornalista uomo sempre pronto alla battuta, tifoso della Fiorentina Per noi è un giorno molto triste
Conti, Ottone Rosai, Eugenio Montale. A 11 anni, alla morte del padre, si trasferisce in Valdarno, dai nonni minatori: addio intellettuali, Poldino conosce il mondo degli operai e si avvicina agli ambienti anarchici, ai sindacati, poi alle cellule comuniste. A 18 anni scrive e manda in stampa un volantino antifascista, viene fermato, interrogato, picchiato dai gerarchi, ma non confessa. Durante la Resistenza il partigiano Potente affida a lui, che conosce bene i boschi del Pratomagno, il comando della divisione Caiani. Nome di battaglia: Satana, «un omaggio a Baudelaire», racconterà poi. È tra i protagonisti della Liberazione di Firenze nell’agosto del ’44, ma finita la guerra il partito comunista gli nega la medaglia d’oro al valor militare: Paciscopi è stato un comandante troppo autonomo, ha persino osato criticare alcune azioni fallimentari del comando fiorentino, quindi per il partito non può incarnare l’ideale del partigiano da celebrare.
Paciscopi decide comunque di non lasciare la tessera del Pci, ma questo non gli renderà affatto la vita semplice. Diventa giornalista, scrive per Milano Sera, La Falce, Toscana Nuova, quindi arriva al Nuovo Corriere dove per lavorare è costretto a firmarsi con uno pseudonimo, Mario Campese. Il suo nome è bandito: nel ’52 il partito arriva addirittura a processarlo per deviazionismo. «Il Pci aveva imposto che il mio stipendio fosse inferiore a quello dell’usciere del giornale. Pativo la fame».
Ma i suoi pezzi di critica cinematografica sono apprezzatissimi, è tra i massimi esperti italiani di cinema muto. Nel ’56, il direttore del
Nuovo Corriere, Romano Bilenchi, si schiera contro Stalin durante le rivolte di Poznan e Togliatti gli impone di chiudere il giornale. Paciscopi, va da sé, è colpevole di aver fomentato Bilenchi. Così, il Pci non gli rinnova la tessera: «Ma non subii una radiazione ufficiale, non ebbero il coraggio — raccontò — nella storia del partito è successo solo a me e a Vittorini».
Ribattezzato dagli ex compagni come «il boia del Pratomagno» («eppure non sparai neanche un colpo fuori dai combattimenti»), quando arriva al colloquio per essere assunto a La Nazione, si sente chiedere: «Quanti ne hai uccisi?». «Pochi, risposi, se avessi detto nessuno non mi avrebbero creduto». Diventa inviato, celebri i suoi reportage da Hiroshima, dalla guerra civile in Congo, dall’Alto Adige durante gli anni del terrorismo.
È il primo cronista italiano a intervistare un giovane astro nascente della politica europea, Olof Palme. E quando nel 1986, Palme, diventato primo ministro di Svezia, viene assassinato, Poldino viene preso da una tristezza rabbiosa, e rovescia pennellate di collera sulla pagina con la sua vecchia intervista: ne nasce uno dei più bei «giornali dipinti» della sua carriera d’artista.
Paciscopi infatti è stato anche pittore, e le pagine di cronaca colorate sono la sua serie più celebre. Chiude la carriera come capo della pagina degli spettacoli, prima della pensione e del «buen retiro» nella villa di Montefiano a Fiesole. Poche apparizioni pubbliche, alcune esposizioni personali di pittura e, tre anni fa, l’omaggio del Premio Fiesole alla carriera. Dalla sua casa in collina, traboccante di quadri, di dischi, di libri, ha atteso invano di assistere al terzo scudetto della sua Fiorentina.
Chiunque ne fosse ospite veniva travolto da ore di racconti sulle sue strabilianti avventure; puntualmente interrotti al fischio d’inizio di ogni partita dei viola.