DAGLI ALLA TASSA (FEDERALISTA)
L’imposta di soggiorno, di cui il «contratto di governo» M5S-Lega prevede l’abolizione, ha due caratteri distintivi: è un tributo tipicamente federalista (quindi in linea con la tradizione leghista) e ambientale (quindi in linea con le sensibilità in materia esibite da M5S). Vediamo perché. L’imposta può essere autonomamente istituita dai Comuni in base alle disposizioni previste dal D.Lgs 23/2011, in attuazione della Legge Delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale, in gran parte ispirata dalle posizioni autonomiste della Lega. Il relativo gettito è destinato a finanziare gli interventi comunali per il turismo, la manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali, nonché i servizi pubblici locali. È quindi un’imposta di scopo, tipologia per antonomasia della finanza locale, corrisposta da ogni soggetto non residente, per ogni pernottamento nelle strutture ricettive e negli immobili locati ad uso turistico, presenti sul territorio del Comune, fino ad un determinato massimo di pernottamenti consecutivi. Sull’effettiva destinazione è chiamata a vigilare la Corte dei Conti. I pregi non direttamente fiscali del tributo sono numerosi. In primo luogo, consente di ripartire il carico tributario tra soggetti che usufruiscono dei beni e servizi pubblici, i turisti, rispetto a chi ne subisce i costi, ovvero la popolazione locale. Si giustifica così l’«esportazione fiscale» implicita nel tassare i non residenti/non elettori, in quanto fonti generatrici dei costi sociali. In secondo luogo, l’imposta è tesa a correggere le esternalità negative, applicando il principio di «chi inquina paga», allocando opportunamente il costo degli impatti negativi sulle risorse naturali, come il mare, le spiagge, le montagne o il secolare patrimonio artistico depauperato da una fruizione indiscriminata. In terzo luogo, l’imposta di soggiorno, che pesa sulle offerte turistiche a bassa elasticità della domanda, in quanto spesso svolte in località uniche nel loro genere, ha effetti distorsivi limitati perché non comprime in modo significativo l’attività tassata a favore di altre svolte in territori vicini. Infine, l’imposta svolge un ruolo distributivo, in termini di equità verticale, trasferendo ricchezza da una fascia di popolazione, generalmente abbiente, alla totalità della popolazione. Quanto ai pregi direttamente fiscali, il gettito dell’imposta di soggiorno ha il così detto «doppio dividendo», ovvero consente ai Comuni di ridurre altre forme di tassazione locale, come l’addizionale Irpef e l’Imu, sostenendo così l’economia locale nel suo complesso.
Gli industriali, gli artigiani e i commercianti, nonché le famiglie di Firenze non credo vedrebbero di buon occhio la crescita delle aliquote di queste ben più distorsive imposte, una volta abolita di quella di soggiorno. Il lacunoso e frettoloso riferimento nel «contratto» ad un sostitutivo rifinanziamento degli enti locali non può lasciare tranquille queste categorie. Che dire? È evidente come, nel «contratto», la furia iconoclasta verso tutte le tasse in generale, unita ad un’evidente confusione in materia, abbia fatto scempio anche di alcuni princìpi fondanti, o che dovrebbero essere tali, dei due movimenti.