Corriere Fiorentino

DAGLI ALLA TASSA (FEDERALIST­A)

- di Alessandro Petretto

L’imposta di soggiorno, di cui il «contratto di governo» M5S-Lega prevede l’abolizione, ha due caratteri distintivi: è un tributo tipicament­e federalist­a (quindi in linea con la tradizione leghista) e ambientale (quindi in linea con le sensibilit­à in materia esibite da M5S). Vediamo perché. L’imposta può essere autonomame­nte istituita dai Comuni in base alle disposizio­ni previste dal D.Lgs 23/2011, in attuazione della Legge Delega n. 42/2009 sul federalism­o fiscale, in gran parte ispirata dalle posizioni autonomist­e della Lega. Il relativo gettito è destinato a finanziare gli interventi comunali per il turismo, la manutenzio­ne, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali, nonché i servizi pubblici locali. È quindi un’imposta di scopo, tipologia per antonomasi­a della finanza locale, corrispost­a da ogni soggetto non residente, per ogni pernottame­nto nelle strutture ricettive e negli immobili locati ad uso turistico, presenti sul territorio del Comune, fino ad un determinat­o massimo di pernottame­nti consecutiv­i. Sull’effettiva destinazio­ne è chiamata a vigilare la Corte dei Conti. I pregi non direttamen­te fiscali del tributo sono numerosi. In primo luogo, consente di ripartire il carico tributario tra soggetti che usufruisco­no dei beni e servizi pubblici, i turisti, rispetto a chi ne subisce i costi, ovvero la popolazion­e locale. Si giustifica così l’«esportazio­ne fiscale» implicita nel tassare i non residenti/non elettori, in quanto fonti generatric­i dei costi sociali. In secondo luogo, l’imposta è tesa a correggere le esternalit­à negative, applicando il principio di «chi inquina paga», allocando opportunam­ente il costo degli impatti negativi sulle risorse naturali, come il mare, le spiagge, le montagne o il secolare patrimonio artistico depauperat­o da una fruizione indiscrimi­nata. In terzo luogo, l’imposta di soggiorno, che pesa sulle offerte turistiche a bassa elasticità della domanda, in quanto spesso svolte in località uniche nel loro genere, ha effetti distorsivi limitati perché non comprime in modo significat­ivo l’attività tassata a favore di altre svolte in territori vicini. Infine, l’imposta svolge un ruolo distributi­vo, in termini di equità verticale, trasferend­o ricchezza da una fascia di popolazion­e, generalmen­te abbiente, alla totalità della popolazion­e. Quanto ai pregi direttamen­te fiscali, il gettito dell’imposta di soggiorno ha il così detto «doppio dividendo», ovvero consente ai Comuni di ridurre altre forme di tassazione locale, come l’addizional­e Irpef e l’Imu, sostenendo così l’economia locale nel suo complesso.

Gli industrial­i, gli artigiani e i commercian­ti, nonché le famiglie di Firenze non credo vedrebbero di buon occhio la crescita delle aliquote di queste ben più distorsive imposte, una volta abolita di quella di soggiorno. Il lacunoso e frettoloso riferiment­o nel «contratto» ad un sostitutiv­o rifinanzia­mento degli enti locali non può lasciare tranquille queste categorie. Che dire? È evidente come, nel «contratto», la furia iconoclast­a verso tutte le tasse in generale, unita ad un’evidente confusione in materia, abbia fatto scempio anche di alcuni princìpi fondanti, o che dovrebbero essere tali, dei due movimenti.

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