Prof d’Italia
Castellacci lascia: «Io e la Nazionale un amore record»
A far festa in mezzo al prato dell’Olympiastadion di Berlino, la notte del 9 luglio 2006, c’era anche lui, insieme agli azzurri di Marcello Lippi campioni del mondo. Oggi, quasi 12 anni dopo, Enrico Castellacci (lucchese doc), 67 anni, saluta la Nazionale di cui è stato responsabile medico dal 2004. In mezzo 3 Mondiali, 3 Europei e 6 commissari tecnici, fra tante gioie e qualche delusione.
Professore, perché questo addio?
«Cullavo un sogno, quello del mio quarto Mondiale. Sarebbe stato un record mai raggiunto da nessuno nel mio ambito, ma sappiamo come è andata. Questo, di pari passo con la rivoluzione in Figc, mi ha fatto maturare la convinzione che si fosse ormai chiuso un ciclo e dunque, con la massima serenità, ho detto stop».
Il momento più bello della sua esperienza non può che essere la vittoria in Germania: se chiude gli occhi qual è la prima immagine che le viene in mente?
«Io e Lippi da soli, fuori dallo spogliatoio la sera della finale, con la squadra già in campo per il riscaldamento. Guardiamo gli spalti gremiti e Marcello mi dice: “Hai visto Enrico dove siamo arrivati?”. Ancora oggi ho i brividi».
Lei ha lavorato con sei Ct: ci regali un aneddoto per ognuno.
«Lippi è un amico, ma soprattutto un allenatore fantastico, dal grande carisma. Con Donadoni ho avuto un rapporto meno profondo, ma lo ricordo come una persona squisita. Prandelli era un vero gentleman, autore di un grande Europeo nel 2012. Conte è un uomo dalla straordinaria cultura del lavoro, stargli affianco è stato un privilegio. Ventura è un maestro di calcio e aveva cominciato bene il suo progetto, ma dopo la sconfitta in Spagna qualcosa si è rotto. Di Biagio l’ho conosciuto per un breve periodo, ma mi ha colpito per il suo entusiasmo: sono certo che diventerà un ottimo tecnico».
Fra le decine di giocatori che ha conosciuto, quali sono quelli con cui ha legato di più?
«I ragazzi del 2006 hanno un posto speciale nel mio cuore. Ne cito alcuni: Buffon, Cannavaro e Gattuso. Rino rimediò una lesione il giorno prima che ufficializzassimo i convocati: una cosa seria, che avrebbe rischiato di escluderlo. A me e Lippi disse: “Se non mi portate in Germania mi incateno al pullman”. Lo portammo, prendendoci un bel rischio, ma sapevo che lui era l’unico in grado di recuperare in poco tempo, grazie a una forza di volontà incredibile».
Due mesi e mezzo fa ci lasciava Davide Astori.
«L’ultima volta che sono stato a Coverciano Davide non c’era già più. Quando sono arrivato davanti alla stanza dei massaggi, ho chiuso gli occhi rivedendomi l’ultimo massaggio che gli avevo fatto lì dentro. Sembrava che mi stesse parlando ancora. Un ragazzo solare, una persona splendida, un’assenza incolmabile».
Che effetto le farà il Mondiale di Russia senza l’Italia?
«Proverò amarezza, ma sono certo che si tratti di un sentimento comune ai tifosi di tutto il mondo. Ricordo dopo una sconfitta con la Spagna una mia battuta al medico della nazionale iberica: “Ora basta, fateci vincere ogni tanto”. E lui: “Enrico, hai visto le stelle che hai sulla maglia? Noi siamo ancora indietro anni luce”. L’Italia del calcio è ammirata ovunque».
Lei rimarrà all’interno della Figc: quale sarà il nuovo incarico?
«Credo si tratterà di qualcosa in ambito medico. Ringrazio la Figc per la fiducia: questo mi permetterà di mantenere il cordone ombelicale con un mondo che è ormai parte di me».
La notte Mondiale Vincere a Berlino resta l’impresa più bella, prima della partita Lippi mi disse: “Enrico, visto dove siamo arrivati?” Prandelli è un gentlemen
Il ricordo di Astori Davide ha lasciato un vuoto incolmabile Al primo raduno senza di lui ho pensato all’ultimo massaggio che gli avevo fatto