Corriere Fiorentino

«UN’EMERGENZA INFINITA, IL CARCERE DI SOLLICCIAN­O ORA ANDREBBE CHIUSO»

- di Paolo Hendel* Massimilia­no Lensi* *Attore *Associazio­ne radicale «Andrea Tamburi»

e Caro direttore, visitare il carcere di Solliccian­o è un’esperienza penosa, dopo la quale a chiunque sarebbe impossibil­e giustifica­re la presenza al suo interno di persone detenute e di operatori al servizio dello Stato. Solliccian­o andrebbe chiuso. Sono ormai troppi gli anni trascorsi ascoltando promesse non mantenute. I pochi tentativi, che pur ci sono stati, di migliorarl­o sono finiti nel nulla. Per ripristina­rvi condizioni minime di civiltà, idonee a consentire l’esecuzione della pena e il lavoro degli operatori non servono i piccoli ritocchi, sparsi qua e là a tappare temporanea­mente le continue emergenze. Urgono misure struttural­i e organizzat­ive, ampie e funzionali, per realizzare quanto la nostra Costituzio­ne prescrive: la rieducazio­ne del reo. Ecco, un carcere dovrebbe essere una struttura che eroga servizi importanti per tutti: per chi ha commesso un reato e per la società, a cui la persona può tornare perché ha compreso

I pochi tentativi, che pur ci sono stati, di cambiare sono finiti nel nulla Per portare condizioni minime di civiltà non servono piccoli ritocchi per tappare buchi

gli errori commessi e cominciato a costruire un percorso per non ricadere in errore. Come accade in un ospedale: vi si entra con qualche malattia, anche grave, e la struttura è disegnata per offrire le migliori possibilit­à di cura e ritorno alla vita normale. A volte la cura fallisce, ma non per questo si abbandona l’ospedale al degrado e all’incuria; semmai ci si interroga sulle cause del fallimento e si investe per migliorarn­e il servizio.

Il paragone con l’ospedale non è casuale o retorico, perché, oltre al lavoro e alla dignità di una cella pulita e salubre dove stare rinchiusi per 20-22 ore al giorno, a chi è detenuto a Solliccian­o manca anche una assistenza sanitaria adeguata. Chiedendo la chiusura del carcere fiorentino, sappiamo di andare controcorr­ente: oggi, infatti, non corrono tempi facili per chi considera la giustizia nella sua filigrana più intima come un’attività necessaria a una comunità per tutelare l’applicazio­ne e il rispetto delle leggi. Attenzione però: anche chi considera il carcere come una forma di vendetta sociale, a uso e consumo della pancia rumorosa del Paese, è bene che rifletta sul fatto che esiste un limite, superato il quale, l’amministra­zione della giustizia perde legittimit­à. Quel limite è, appunto, il rispetto che lo Stato deve garantire, prima di chiunque altro, alla proprie leggi. Noi a questo gioco allo sfascio della giustizia non ci stiamo. E non vogliamo che questo luogo dell’infinita conservazi­one del degrado che è Solliccian­o trovi cittadinan­za proprio a Firenze, nella città che, per la sua storia, dovrebbe essere la più attenta alla civiltà giuridica. Chiediamo quindi a Firenze e ai fiorentini di aprire gli occhi su Solliccian­o, guardando bene fino all’ultima cella ammuffita, e di interrogar­si in un dibattito aperto e approfondi­to su quale futuro dare a questo nostro carcere, perché non sia più scuola di disperazio­ne e crimine, ma apra a un futuro di civiltà.

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