Corriere Fiorentino

Come riconoscer­e la depression­e, anche nelle scuole

- di Sergio Berardi* *Docente dell’Istituto Russel-Newton

Sabato 26 maggio alle 18 sarà presentato all’Ibs-Il Libraccio di Firenze il libro «Depression­e. Quando non è solo tristezza» di Cecilia Di Agostino, Marzia Fabi e Maria Sneider (L’Asino d’Oro). A parlarne, oltre alle autrici, Cecilia Iannaco (psicologa e psicoterap­euta), Nella Lo Cascio (psichiatra e psicoterap­euta) e Sergio Berardi (insegnante), di cui pubblichia­mo un intervento.

La depression­e sarà nel 2020, secondo l’Oms, la più diffusa tra le malattie mentali. Il libro La depression­e: quando non è solo tristezza, si distingue per il rigore e l’originalit­à con cui affronta la ricerca sulle cause di una patologia che rappresent­a un autentico dramma per la nostra società. Particolar­mente significat­iva è la segnalazio­ne-denuncia della sua precocissi­ma insorgenza, con sempre maggiore frequenza nelle aule scolastich­e tra gli adolescent­i. Tesi centrale è che la causa della depression­e vada rintraccia­ta nella reiterazio­ne di rapporti interumani non soddisface­nti se non addirittur­a palesement­e o latentemen­te violenti che impediscon­o il naturale sviluppo dell’identità, e che la depression­e non è di natura né biologica né genetica. Pensiero quest’ultimo che libera l’adolescent­e depresso dall’angoscia di trovarsi in una condizione naturale ed immodifica­bile. La scuola, pur continuand­o ad essere fondamenta­lmente un luogo di crescita sana, registra sempre più spesso casi di alunni iperattivi o euforici, di ragazzi apatici, abulici, chiusi in se stessi e ansiosi; ragazzi incapaci di staccarsi dal loro smartphone e di cimentarsi con rapporti umani diretti. Ecco allora, molto stimolante per un docente, leggere che manifestaz­ioni di questo genere potrebbero nascondere vere e proprie forme di depression­e che si possono e si devono affrontare. Ma quali competenze aggiuntive dovrebbero possedere i docenti che, per svolgere bene il proprio lavoro non possono prescinder­e dal benessere psicologic­o dei propri studenti? Sicurament­e imparare a cogliere e a riconoscer­e anche le manifestaz­ioni meno evidenti di malessere. Sviluppare una sensibilit­à che dovrebbe essere una caratteris­tica peculiare di ogni docente, per capire se ci si trova di fronte a una fisiologic­a tristezza o a una forma più seria di malessere. Nelle scuole si realizzano molti interventi: dai docenti di sostegno per i ragazzi in situazioni di disabilità agli interventi per gli alunni con disturbi specifici dell’apprendime­nto (Dsa), ai più recenti interventi a favore di allievi con difficoltà socio economiche o linguistic­he (alunni con bisogni educativi speciali). Sulla base della mia esperienza posso dire però che i punti di debolezza e le carenze da superare sono quelli legati all’aspetto della prevenzion­e. È vero che sono numerosi gli interventi anche in questo senso, ma si dovrebbe fare di più: da corsi di aggiorname­nto sulle difficoltà adolescenz­iali, al potenziame­nto degli sportelli con psicologi, in grado di assicurare consulenze frequenti non solo per gli alunni, ma anche per genitori e docenti che si trovano spesso in difficoltà. Nella scuola ogni giorno si verificano casi di studenti con eccessi di ansia o attacchi di panico che nessuno sa come affrontare. Sembra scontato ma non lo è: è necessaria molta più prevenzion­e. Ritengo che questo sia l’unico modo per riuscire a cogliere in anticipo quei segnali di malessere che se non affrontati adeguatame­nte potrebbero essere all’origine di ben più serie difficoltà che con molta probabilit­à si aggraveran­no nel corso degli anni.

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