Il vero creativo? Il filosofo
Dal 25 al 27 maggio Pistoia ospita i «Dialoghi sull’uomo» dedicati alla creatività e al cambiamento Pubblichiamo l’estratto della lectio di Nicola Gardini: riflessione sulle differenze tra mentalità classica e moderna
La creatività è la capacità di creare cose ammirevoli e piacevoli, con le parole, con i suoni o con certi materiali, come i colori, il legno, la cera o la pietra. L’ammirazione e il piacere avvengono primamente in coloro che creano; quindi, in coloro che sperimentano le creazioni di quelli con i sensi e con l’anima.
L’esecuzione pratica è l’esito necessario di ogni tipo di creatività. Se non si dà creazione qualunque discorso sulla creatività diventa puramente teorico. Conosco una persona che dice da almeno vent’anni di avere un’ottima idea per un romanzo. Il romanzo, però, non è ancora stato scritto, né credo che verrà mai scritto. Tale persona può dirsi creativa? No. La sua creatività si può misurare solo sull’oggetto creato, non sulle sue promesse o sulle sue illusioni. L’ottima idea, certo, ci vuole, ma non basta. Deve diventare cosa; deve potersi far vedere da tutti.
La cosa creata è qualcosa di nuovo. Non soddisfa un bisogno primario come la fame o la sete o il freddo; non è la soluzione a un problema pratico; non è la risposta a una domanda. È, invece, avvenimento vitale in sé, che espande il senso e i confini della realtà, modifica i paradigmi della percezione e del comportamento. Per dirla in breve con due esempi celebri, creativo è Frankenstein, che non ha nessun bisogno di inventare il mostro, non Robinson Crusoe, che deve darsi i mezzi per sopravvivere. Insomma, delle opere della creatività, prima che appaiano, non si sente bisogno; né se ne può avere sospetto. Un poema, così come una statua o una sinfonia, è idea di sé stesso; esiste solo come evento compiuto, e solo nella
Per gli antichi una bella statua non è altro che un oggetto ben fatto, frutto di abilità artigianale
sua compiutezza contiene la propria origine, collegando intuizione ed esecuzione in un circolo inarrestabile. La Divina Commedia, per ricordare un caso plateale, è fatta e finita e comincia ogni volta che entra nella sfera intellettiva di qualche lettore.
Gli antichi come la pensavano in proposito? La creatività secondo gli antichi, e specialmente secondo i greci, non è esattamente sovrapponibile ad alcuna definizione moderna. Occorre, quando si vuole interpretare la mentalità degli antichi riguardo qualunque questione, tradurre i nostri concetti in concetti analoghi; e occorre simultaneamente individuare la terminologia che consenta di tradurre i nostri concetti nei loro nella maniera più adeguata possibile. Tale compito non è facile, date la vastità dei riferimenti necessari, la complessità del vocabolario critico e la raffinatezza dei quadri concettuali da cui desumere le prove – retorica, filosofia, arte, poesia, politica, mitologia. La nozione stessa di «antichità» è molto ampia, poiché abbraccia secoli e secoli di cultura, durante i quali si sono confrontate ipotesi concorrenti e si sono verificate svolte e cambi di paradigma. Resta vero che in tanta varietà esiste un continuum di idee, esistono i modelli, e questi si possono, anzi si devono isolare e comprendere, perché, seppure la storia non smette di cambiare le situazioni, si danno costanti e permanenze, che dipendono dall’intenzionale conservatorismo di certe condizioni sociali e personali, e certamente, quando si ha che fare con la mentalità antica, da un fortissimo senso della tradizione.
Comincerò da una primissima, radicale differenza. Nella mentalità classica la creatività si esprime non nell’esecuzione, ma nel ragionamento; non nella techne, ma nella phronesis, la riflessione e la contemplazione. Pertanto, le arti figurative, che per noi si identificano d’emblée con il concetto di creatività, non sono creatività per gli antichi. Una bella statua, per gli antichi, non è altro che un oggetto ben fatto, il frutto di abilità artigianale. La creatività, quando creatività vi possiamo riconoscere, sarà identificabile non con il lavoro dello scalpello né tanto meno con la bellezza della materia (di bellezza dell’esecuzione e della materia si comincerà a parlare solo nel nostro Rinascimento), ma con il progetto, che sta tutto nella mente. Il vero creativo è non chi dissemina scritti, statue o dipinti per il mondo, ma chi sa pensare, chi scopre la struttura nascosta delle cose. Il vero creativo – se estremizziamo questa visione – è il sapiente, il filosofo: Socrate, che non doveva neppure far la fatica di mettere i suoi pensieri in forma scritta, essendogli sufficiente consegnare il suo pensiero ad altri.
La creatività sta non nell’aggiungere, ma nel togliere; nel semplificare la sovrabbondanza delle esperienze fisiche in nome dell’universale. L’opera si compie — permettetemi il paradosso — nella distruzione. Si distruggono le credenze fuorvianti, gli errori cui inducono i sensi, le contingenze del particolare, e si spinge intanto la ricerca nell’invisibile, oltre i confini della materia e delle rappresentazioni sensibili. La creatività è conoscenza, e perché conoscenza ci sia occorre andare al di là del molteplice e del circostanziale.
L’opera si compie nella distruzione Si distruggono gli errori e si spinge la ricerca oltre i confini della materia