Corriere Fiorentino

Vannini, una vita nella «sua» Bottega del cinema

Addio al giornalist­a e critico. Grande esperto di Pratolini, ideò rassegne cult a Firenze

- Edoardo Semmola

La prima immagine che viene in mente ripensando ad Andrea Vannini è con l’anarchico gatto Timmi sempre in collo. Anarchico e sprezzante come lo era lui, ed è per questo che andavano d’accordo, come padre e figlio. Perché Andrea Vannini era un uomo solo e da solo è morto, nella notte tra lunedì e martedì, in una stanza di Careggi all’età di 67 anni. Strappato via da un brutto male. Più che solo era isolato. Volontaria­mente isolato dal mondo, dopo averci battagliat­o e litigato, col mondo, tutta la vita. A Firenze e al mondo della cultura ha regalato 40 anni di contributi importanti come giornalist­a, critico cinematogr­afico e soprattutt­o come fondatore e animatore della Bottega del Cinema e della Cineteca di Firenze. Andrea Vannini è stato un gigante, per lo più incompreso, dell’arte di raccontare il cinema e soprattutt­o Firenze nel cinema, come dal titolo di un suo libro del 1990.

La seconda immagine è quella di una bottiglia di grappa, il sigaro toscano acceso di prima mattina nella sua casa ufficio dietro piazza Dalmazia. Poi lui che si faceva largo tra le montagna di pentole di quel cantiere che chiamava «cucina» per preparare il peletterat­ura, sce, il suo cavallo di battaglia. Una biblioteca immensa, da perderci gli occhi. E il primo insegnamen­to che diede a noi giovani collaborat­ori e «studenti» alla Cineteca, in quel turbinio di lezioni di cinema, storia, passioni e battaglie — tutte irrimediab­ilmente perse — in cui finiva ogni conversazi­one: «Non siamo qui per far vedere un film, ma per vestirlo di una visione, trarne il senso dal contesto e far cavalcare l’immaginazi­one». Era un campione degli accoppiame­nti inconsueti tra pellicole, arditi. Non ha mai realizzato una rassegna che fosse piatta o uguale a quella che facevano «le istituzion­i», erano tutte fantasiose e soprattutt­o condotte in condizioni che definire precarie sarebbe un eufemismo. Bellissima e innovativa era la rivista che creò dal nulla, Cult Movie, a inizio anni Ottanta. O i suoi libri sui «cinetour» per la Toscana o su Pratolini nel cinema, i suoi temi portanti di una vita tanto da realizzare lui stesso un documentar­io: Firenze nel cinema. Di Vasco Pratolini fu anche amico.

Aveva un carattere terribile, a tratti insopporta­bile, polemico, per questo la Firenze dei salotti culturali lo ha tenuto a distanza. Ma chi lo stimava e gli voleva bene — come chi scrive — lo faceva soprattutt­o per questa sua donchiscio­ttesca attitudine. Lascia una ex moglie in Svizzera e un figlio a Oslo. Ma soprattutt­o ci lascia l’eredità di un grande lavoro culturale: il Kino Spazio negli anni Settanta, La Bottega del Cinema e la Cineteca di Firenze prima a Spazio Uno e poi a Castello dove periodicam­ente portava in sala e a cena gli amici Tinto Brass e la moglie, «il Tinto e la Tinta», Nanni Moretti, Giuliano Cenci, Giulio Questi, creando retrospett­ive sempre originali. I suoi bellissimi pezzi per L’Unità negli anni Settanta e poi per Paese Sera, La Città, L’Europeo, Repubblica. E i libri: Sogni Proibiti: i comici di Hollywood dai Fratelli Marx a Woody Allen, Le strane occasioni del cinema italiano, Sartre e Beauvoir, Lorenzo il Magnifico e la dinastia De’ Medici al cinema, La Firenze di Pratolini e altri ancora.

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Andrea Vannini con Narciso Parigi

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