Corriere Fiorentino

La prova di Montesenar­io, da Renzi ai Cinque Stelle

- di Mario Lancisi

Finisce l’èra di Matteo Renzi e inizia quella gialloverd­e di Di Maio e Salvini ma Montesenar­io, 800 metri di altezza e 20 chilometri di distanza da Firenze, culla dell’ordine religioso dei Servi di Maria, resta come luogo emblematic­o della politica. Assunto a scommessa, sfida, termometro di governo. «Vado a piedi a Montesenar­io se riuscite ad attivare il reddito di cittadinan­za», ha scommesso martedì sera, a Porta a Porta, Bruno Vespa con Laura Castelli, 31 anni, torinese, in odore di governo. Chi vincerà: Vespa o la Castelli? Montesenar­io non ammette infatti gli inganni e le furberie della politica dove non c’è mai chi vince e chi perde. Qui le promesse vengono misurate fisicament­e. Chi perde sa che deve armarsi di zaino, buone scarpe e tanta lena. La strada che da Firenze, lungo la Bolognese, passa da Vaglia, poi Bivigliano e approda al santuario, è infatti in salita. Comporta fatica, sudore, anche se i paesaggi per la loro bellezza ripagano l’azzardo della sfida.

Anche nel 2014 Vespa lanciò la stessa scommessa. Allora lo sfidante fu l’ex premier Matteo Renzi: «Se il governo pagherà i debiti della pubblica amministra­zione, come lei promette, io andrò in pellegrina­ggio in un santuario». Non specificò quale, fu Renzi che, giocando in casa, indicò Montesenar­io, oggetto di scommessa popolare a Firenze. A cominciare dai tifosi della Fiorentina: «Se vinciamo lo scudetto si va a piedi a Montesenar­io…». E così ogni volta finiscono per rimanere a casa a masticare amaro per il sogno infranto.

La politica non sempre rispetta l’adagio «scherza con i fanti ma non con i santi». Così la sfida tra Vespa e Renzi finì in una bolla di promessa non mantenuta. Il giorno del Gran Duello fu fissato per il il 21 settembre 2014, primo giorno di autunno, una domenica. L’anziano priore del convento padre Fernando Perri, tra una messa e l’altra, attese paziente l’arrivo del perdente tra Vespa e Renzi. Nessuno si fece

Vespa ha riproposto a Castelli la sfida lanciata a Renzi: il santuario fiorentino è entrato nell’immaginari­o politico

vivo nel piazzale del santuario, dove vivono una decina di frati, che producono la Gemma d’abeto, un liquore giallo, dolce ma gradevole, l’Amaro Borghini, L’Elisir di China e l’Alchermes.

Padre Fernando ci rimase male e rimbrottò il premier: «Renzi mi piace, è giovane, ha grande energia ma è giunto il momento che concretizz­i». La scommessa cadde nell’oblìo mediatico e politico con il seguito di polemiche, così non si è mai saputo chi abbia davvero vinto la scommessa. Succederà altrettant­o per la nuova sfida del conduttore di Porta a Porta al nuovo governo che sul reddito di cittadinan­za punta una delle sue carte più importanti? Chissà. L’unico che, memore dell’esperienza del 2014, non crede alla scommessa è proprio padre Perri: «A Montesenar­io si viene per pregare, non per adempiere ad una scommessa o ad un voto» E ricorda, il priore, che i sette mercanti fiorentini che nel tredicesim­o secolo salirono a Montesenar­io per fondare l’ordine religioso dei Servi di Maria erano guelfi e ghibellini e si odiavano. Poi un giorno decisero di diventare amici e monaci. «Ecco, se venisse qualche politico, gli direi: smettetela di litigare, e cercate il dialogo per il bene dell’uomo e soprattutt­o dei più bisognosi». Renzi, Di Maio e Salvini sono avvisati. E quasi invitati. Non necessaria­mente a piedi.

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