La «palestra» fiorentina di premier e giudici fatta rinascere da Calamandrei e La Pira
In ultimo fu Giuseppe Conte. Dalla cattedra in diritto privato della facoltà fiorentina di Legge fino all’incarico per la presidenza del Consiglio. Solo quattro anni fa, era stato l’ex studente Matteo Renzi a varcare la soglia di Palazzo Chigi. Che sia una combinazione che la giurisprudenza di Firenze abbia sfornato due premier in così poco tempo? «Sì», «no», «dipende», dicono i più autorevoli docenti di Novoli. Ma a ben vedere, tra sindaci (Dario Nardella), ministri (Maria Elena Boschi), presidenti della Consulta (Ugo De Siervo e Paolo Grossi), negli ultimi anni le combinazioni cominciano a diventare piuttosto frequenti. C’è chi, come la professoressa Patrizia Giunti, direttrice del dipartimento di Scienze giuridiche, spiega che la facoltà sin dalle sue origini, ovvero dalla fondazione del ‘24 col preside Federico Cammeo, «ha avuto la capacità dei docenti di farsi maestri e di attrarre gli studenti migliori. E la cosa che mi piace sottolineare è che nostri ex allievi e professori si sono affermati al di là delle loro connotazioni politiche. Insomma, la scuola fiorentina supera le divisioni ideologiche». Molti docenti citano le origini, i grandi maestri, spunta persino un documento della rifondata facoltà nella Firenze liberata, dopo che la guerra aveva chiuso le porte della scuola di legge: il primo settembre 1944, sotto il rettore Piero Calamandrei, il Cln approva la nascita del «comitato della facoltà di legge», ricostituito da docenti come Francesco Calasso, Giorgio La Pira, Francesco Cappellini, Ernesto Codignola, ma anche studenti come il futuro sacerdote della Madonnina del Grappa Carlo Zaccaro.
«Nel nostro dna abbiamo due grandissimi protagonisti della storia repubblicana, come La Pira e Calamandrei. Proprio loro, dal dramma dell’estromissione del preside Cammeo per le leggi razziali, riescono a ricreare una comunità intellettuale che trasforma giurisprudenza in una fucina della classe dirigente». A dirlo non è un docente a caso: è Bernardo Sordi, ordinario di storia del diritto medievale e moderno e relatore della tesi di Matteo Renzi. Una tesi, guarda un po’, su Giorgio La Pira.
Nel corso degli anni, nell’allora sede di via Laura, nasce la grande scuola di diritto costituzionale di Paolo Barile, in cui si formano Enzo Cheli, Roberto Zaccaria, Paolo Grossi, Ugo De Siervo. Il quale, in modo assai pragmatico, più che alla causa guarda all’effetto, con la soddisfazione di primeggiare sui «cugini» rivali, la facoltà di Scienze Politiche di Pertini e Spadolini: «Beh, una sana concorrenza c’è sempre stata, inutile negarlo. Il problema della nostra facoltà è che non è mai stata omogenea, mentre la Cesare Alfieri è sempre andata più a testuggine. In più, loro hanno sempre avuto grandi rapporti con i media, perché le materie che insegnano sono più vicine alla cultura dei giornalisti, direi che sono più agréables rispetto alla durezza del diritto».
«Renzi e Conte a Palazzo Chigi? La facoltà non ha meriti, è solo una combinazione», assicura Paolo Caretti, altro allievo di Barile: «Conte tra l’altro è laureato alla Sapienza». Eppure, ad avvicinare il neo incaricato premier ai Cinque Stelle è stato proprio un ex studente e ricercatore di Novoli, Alfonso Bonafede, oggi favorito a diventare ministro della Giustizia nel governo gialloverde. «Semmai — aggiunge Caretti — è il seminario di studi parlamentari Silvano Tosi (post laurea, ndr) ad aver prodotto classe dirigente nelle massime istituzioni nazionali. Come Ugo Zampetti, segretario generale del Quirinale, Mauro Zampini, segretario generale della Camera, e molti altri». Ma il presidente della Scuola di giurisprudenza, Paolo Cappellini, suggerisce un ulteriore legame di causa effetto tra la facoltà e la classe dirigente di marca fiorentina. Se prima i premier arrivavano da Scienze Politiche o persino da Economia (come Lamberto Dini), «dal ‘92 c’è stato l’effetto Di Pietro: con Mani Pulite sono esplose le iscrizioni a legge, tutti volevano fare i magistrati: e più sono gli studenti, più alta è poi la probabilità che qualcuno di loro si affermi». Cappellini ricorda di un appello di esame che cominciò a inzio luglio e finì a metà agosto. Erano gli anni in cui le aule di via Laura straboccavano di studenti che facevano lezione seduti per terra. Gli anni in cui si iscrivevano i neodiplomati Matteo Renzi e Dario Nardella.
De Siervo soddisfatto del primato su Scienze politiche: «Una sana concorrenza c’è da sempre, inutile negarlo...»