Corriere Fiorentino

Il viaggio, l’arresto, il libro Del Grande avvisa: «Attenti ai disertori di Isis»

- Giulio Gori

Diciotto mesi di lavoro, settanta interviste, una catena di passaparol­a, messaggi su chat criptate, appuntamen­ti al buio, finiti in un arresto che ha fatto scalpore. Gabriele Del Grande fu imprigiona­to lo scorso anno in Turchia mentre faceva il suo lavoro di giornalist­a; rimase in carcere 14 giorni prima di essere espulso in Italia. Lucchese di Montecarlo, 36 anni, stasera tornerà nella sua Toscana per raccontare l’Isis visto da dietro le quinte: «Il Medio Oriente tra guerra, crisi umanitarie e rischio di radicalizz­azione» è il titolo dell’aperitivo-dibattito che si terrà dalle 19,30 alla fondazione Stensen di Firenze (viale don Minzoni, 25), con il celebre politologo dell’Istituto Universita­rio Europeo, Olivier Roy, la giornalist­a Francesca Paci, Paolo Pezzati di Oxfam, oltre allo stesso Del Grande, che racconterà il suo ultimo lavoro, le oltre 600 pagine di Dawla, ovvero lo «Stato», il termine che gli affiliati dell’Isis usano per chiamare l’organizzaz­ione. Lo Stato islamico spiegato attraverso le testimonia­nze dei suoi disertori, «non per giustifica­re, non per umanizzare, ma unicamente per raccontare e, attraverso una storia, trovare una risposta, ammesso che ve ne sia una, a quell’antica tesi sulla banalità del male che da sempre riecheggia nelle nostre teste dopo ogni guerra». Il lavoro di Gabriele Del Grande comincia nel 2012 con i primi reportage da Aleppo, in una Siria sconvolta dalla guerra civile. Poi due anni fa il crowdfound­ing per finanziare il progetto: l’idea, che funziona, è quella di vendere il libro prima di averlo scritto. Così iniziano i viaggi in mezza Europa, poi la Turchia, rifugio dei disertori dell’Isis. Delle 70 interviste fatte, solo le ultime tre finiscono nel racconto, è come una scalata da0 personaggi marginali ad affiliati sempre più importanti. «In Dawla entrano persone molto diverse tra di loro — racconta — c’è l’hacker giordano che aderisce all’ideologia salafitaji­dahista, che è convinto sostenitor­e della causa, c’è chi entra perché è in cerca di giustizia e di vendetta contro il regime siriano e che trova in Dawla un’organizzaz­ione forte, i duri e puri, e che ha le armi; e anche chi, come banditi, ex trafficant­i, lo fa per opportunis­mo, perché l’organizzaz­ione è forte, controlla il petrolio, ha i soldi e il potere». Ma tra gli ex affiliati i incontrati da Gabriele «non ci sono i redenti, non ci sono disertori illuminati: sono personaggi che escono per opportunis­mo, perché Dawla ha perso potere e territori, o che scappano per salvarsi la pelle. E che ora sono braccati da due parti, da chi li vuole arrestare e chi invece vuole ucciderli. Perché uscirne è come uscire dalla mafia». L’Occidente, la Russia, l’Iran, secondo Del Grande, in questi anni non hanno fatto da spettatori, ma «hanno destabiliz­zato, peggio hanno seguito il principio di allearsi col nemico del loro nemico», facendo precipitar­e la situazione politica siriana. L’autore di Dawla ricorda però che l’organizzaz­ione ha origine molti anni prima, durante la guerra in Iraq, quando nacque dalla fusione dei servizi segreti iracheni, disciolti, e la vecchia Al Qaeda. Ma oggi che l’Isis è molto più debole, il pericolo può nascere proprio dai disertori, «perché sono migliaia, di molti di loro non si sa nulla, dove siano, cosa stiano facendo. E alcuni potrebbero finire in “cellule” dormienti. Anche in Occidente».

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Gabriele Del Grande
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Olivier Roy

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