Corriere Fiorentino

La Pinacoteca fatta a pezzi

Nel piano di sviluppo del Santa Maria della Scala non trovano spazio le prestigios­e collezioni Pare ormai consolidat­a la volontà di smembrare in tre nuclei un tesoro che merita valorizzaz­ione

- Di Roberto Barzanti

Presentato come approdo definitivo di un Piano di Sviluppo quadrienna­le (20182021) del Santa Maria della Scala, l’analitico documento desta non poche preoccupaz­ioni. Nella sostanza è il fastoso funerale del progetto lungamente a Siena coltivato di collocare nell’antico xenodochio (tra i primi ospizi per pellegrini) la Pinacoteca Nazionale, criticamen­te rivisitata e arricchita di nuovi innesti. Questo era il cuore del disegno rilanciato da Cesare Brandi e al centro — dal 1982 — di una cospicua serie di incontri, indagini, convegni e atti deliberati­vi comunali. Più che per quanto vi è scritto, la transizion­e abbozzata verso un nebbioso futuro deve essere valutata per quanto non dice.

Si è ribadito fino alla noia che l’asse di una prospettiv­a tanto ambiziosa era dare una sistemazio­ne degna al nucleo più alto e celebrato del patrimonio artistico senese, costretto in sale non più adeguate. Ma è proprio a questo obiettivo strategico che si rinuncia, forse una volta per tutte. Aver inserito nel cosiddetto Polo museale toscano, in un disomogene­o e affastella­to insieme d’una cinquantin­a di sedi, la Pinacoteca inaugurata nel 1932 è stato un obbrobrio, accettato purtroppo con qualche timido e isolato mugugno. Ora il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sembra considerar­e irrecusabi­le questa degradante opzione. Le difficoltà per realizzarl­a sono effettive: dal momento che nessuno mette in dubbio la natura statuale della Pinacoteca sono necessari complicati meccanismi di convenzion­amento e puntuali accordi per regolare i rapporti tra i vari enti titolari della proprietà delle opere. Nessuno pretendeva che la situazione si sbloccasse dall’oggi al domani, anche se impostata da decenni. Nel programma operativo si prevede al riguardo solo la riunificaz­ione della collezione Spannocchi: una parte minima della sequenza di tavole ospitata a palazzo Buonsignor­i Brigidi. Sicché vien da pensare che ormai sia consolidat­a la volontà di smembrare la Pinacoteca in tre nuclei, dei quali quello in partenza per il Santa Maria non è certo il principale. La maggior quantità di testimonia­nze resterebbe dove sta ora ed un’altra sezione — perlopiù opere da metà Cinquecent­o in poi — dovrebbe trovare alloggio nel palazzo Chigi-Piccolomin­i, tutto da strutturar­e come museo. Tale orientamen­to è bersagliat­o da acuminati strali, ma il Comune pare arrendersi e prendere atto della lambiccata disarticol­azione. Per attuare il progetto originario, caldeggiat­o da una miriade di studiosi, occorrereb­be che il Santa Maria diventasse un soggetto forte, pubblico, autonomo e autorevole sulla scena internazio­nale. Invece che accelerare la definizion­e giuridica dell’affascinan­te complesso si ribadisce che dall’anno prossimo tornerà ad essere una «istituzion­e comunale», figura alquanto debole e dipendente dall’amministra­zione municipale, con gli impacci e i limiti che questa fragile fisionomia comporta. Non si esclude che nel prosieguo assuma «una forma giuridica di natura privatisti­ca quale ad esempio la fondazione o la società consortile». Perché rimandare questo snodo essenziale alle calende greche? Perché tanta prudente vaghezza? Le grosse riserve ribadite non inducono a rifiutare formulazio­ni accettabil­i del Piano, espresse — ahimè — con gli abusati anglismi fatti apposta per prestarsi alle più varie traduzioni. La mission affidata è farne prioritari­amente un museo-città, attivo nel promuovere il welfare culturale favorendo accoglienz­a e cura di viaggiator­i e residenti: quasi per resuscitar­e la pia cifra della nascita. Quindi si riprende il proposito di farne un luogo «poli-esperienzi­ale» in grado di organizzar­e laboratori a scopi pedagogici. Ancora: un hub internazio­nale di incontro tra i senesi e il mondo per confrontar­si con i linguaggi innovativi. Oltre al Museo archeologi­co — da modificare rispetto all’attuale configuraz­ione — ecco il Museo dei bambini, con un ripensamen­to del concept finora prevalente, e uno spazio dedicato alla fotografia toscana. Le mostre temporanee farebbero la parte del leone. L’elenco delle attività permanenti ipotizzate fa girar la testa da quanto è nutrito: laboratori, centri di rigenerazi­one urbana, gemellaggi, working e co-working da affidare a operatori locali. Il direttore Daniele Pitteri ha spiegato con pirotecnic­a fantasia l’impronta glocal che anima lo spirito dell’impresa e ha sottolinea­to con giustifica­ta soddisfazi­one i vivaci segni di un’indubbia ripresa. Ma se si vuole affermare un’identità riconoscib­ile e attrattiva il menu deve essere più parco, più selettivo. Bene occuparsi sul serio di fundraisin­g e non ignorare la ristorazio­ne. Pur di non esaltare come fine dei fini il raggiungim­ento al 2020 di quota 250.000 biglietti annui. Le cifre della maledetta audience non sono sinonimo di qualità.

Un altro futuro Nell’ex spedale, la cui missione è diventare un museo-città, confluirà solo una minima parte

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 ??  ?? In alto una delle sale della Pinacoteca, sopra il Pellegrina­io del Santa Maria della Scala e a destra Palazzo Buonsignor­i Brigidi sede della Pinacoteca (foto: Lensini)
In alto una delle sale della Pinacoteca, sopra il Pellegrina­io del Santa Maria della Scala e a destra Palazzo Buonsignor­i Brigidi sede della Pinacoteca (foto: Lensini)

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