Corriere Fiorentino

Il giorno dei 5 Stelle ribelli (puri ma non duri)

Contro i vertici per le mancate candidatur­e, minacciano liste civiche. Poi prevale la fedeltà

- M.F.

«Non abbiamo il potere che hanno i Di Maio e i Casaleggio, ma abbiamo ancora il potere di mettere una croce sulla scheda elettorale». In sala ci sono una cinquantin­a di attivisti. Vengono dalle città dove lo «staff» dei Cinque Stelle non ha certificat­o (leggi: ha bocciato) la loro lista, e così gli elettori, il 10 giugno, non potranno votare il partito di Grillo. I «dissidenti», li hanno chiamati. Bocciati con un post scriptum da Luigi Di Maio: non potendo usare l’etichetta di «Meetup toscano del M5S», hanno cambiato nome all’incontro e sui badge hanno lasciato solo le cinque stelle, un po’ come quando il Pci divenne Pds e nessuno poteva usare il vecchio simbolo, ma la falce e martello sì. «Noi non siamo dissidenti, ci rifacciamo al messaggio originale del movimento» dicono i partecipan­ti all’incontro a Siena, messaggio tradito, spiega Luca Furiozzi, che ha fatto partire la mail di convocazio­ne.

A Pisa, dicono, sono nati «capibaston­e e referenti politici» che per farsi belli con i capi avrebbero «pure acquistato la moto con cui è andato in giro Alessandro Di Battista». Da Bagno a Ripoli l’attacco contro «i vertici che non si sono mai visti. Li abbiamo chiamati per la Terza Corsia, la variante, la tramvia. Li abbiamo pregati, non sono mai venuti, ma poi quando ci sono le elezioni tutti a chiedere di fare incontri e portare volantini». Raccontano dei grillini della Val d’Elsa che ad alcuni di loro era stato chiesto di «preparare» una candidata su salute e sociale. «Si capiva che non se ne era mai occupata, non ne capiva nulla». Un crescendo di rabbia e delusione. Che sfocia in uno scontro anche tra attivisti: «C’è chi faceva campagna elettorale coi santini» allude uno. «Parla per te, io sono più puro di te», ribatte un altro.

A sentir i «dissidenti», quest’anno che ha trasformat­o i Cinque Stelle in un partito come gli altri (il più votato dei partiti) è stato quello del tradimento di tutt le regole «delle origini». Per le candidatur­e plurinomin­ali, per la scelta di quelle uninominal­i, per la certificaz­ione delle liste per le Amministra­tive.

«Ci sono sempre le liste civiche...», propone qualcuno paventando lo strappo definitivo. «Il malcontent­o va avanti da anni», spiega Pinassi. Che aggiunte: «Ci hanno illuso si potesse fare politica in modo diverso. Con dolore vedo capibaston­e, gente che controlla il territorio, le stesse dinamiche da anni ‘50». È la politica, bellezza, verrebbe da dire: però fatta in un «luogo», il Movimento, dove non si sa chi c’è e quanti sono. «Abbiamo provato a metter su un’anagrafe del M5S, ce l’hanno impedito». Ce l’hanno con lo «staff» che non ha mai risposto alle richieste di chiariment­i, e pure con Giacomo Giannarell­i, consiglier­e regionale del Movimento, già candidato governator­e, che secondo alcuni sarebbe l’autore del «P.S.» in calce al post di Di Maio con cui si delegittim­ava l’incontro senese.

Alla fine dell’incontro però nessuna rivolta, prevale l’ortodossia: «È stata istituita una commission­e che elaborerà un testo in cui chiedere ai vertici del M5S tutte le cose che abbiamo detto», spiega Furiozzi. «Il tentativo — ammette Pinassi — è di creare una corrente all’interno, se ce lo fanno fare. Per salvare questa creatura. Non ci vogliamo porre fuori, non sarebbe corretto nei confronti di chi ci vota». E se le risposte non arriverann­o? «Prenderemo le nostre decisioni» dice Furiozzi.

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Un momento dell’incontro tra i meetup «dissidenti» domenica scorsa a Siena

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