I SOCIAL NETWORK NEI MONASTERI? CLAUSURA NON È CHIUSURA
È
di questi giorni la pubblicazione da parte della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (Ufficio della Santa Sede che si occupa dei religiosi) di un documento importante che riguarda la vita delle monache di clausura, dal significativo titolo Cor orans, Il cuore che prega.
L’Istruzione vaticana che intende applicare le norme emanate da papa Francesco due anni fa per regolare la vita dei monasteri femminili interamente dediti alla contemplazione, si propone di rendere chiare tali disposizioni «sviluppando e determinando i procedimenti» nell’eseguirle. Perché la Chiesa ha sentito l’esigenza di occuparsi in modo così esteso e dettagliato — quattro corposi capitoli preceduti da un’introduzione e seguiti dalle disposizioni finali e da una conclusione — di una forma di vita, quella interamente contemplativa ovvero claustrale di cui molti ignorano perfino l’esistenza, dedicandole tanta attenzione? Questo genere di vita, di fatto, alquanto nascosto nelle pieghe di una storia che corre oggi sui binari dell’efficienza e della potenza, contraddice in certo senso i criteri culturali dominanti in occidente, può talvolta stupire o forse, ancora di più, incuriosire, ma difficilmente è compresa nella ricchezza dei suoi contenuti umani e spirituali. L’Istruzione del dicastero vaticano giunge oggi a sostenere, animare e guidare attraverso precise direttive istituzioni che di sovente hanno secoli di vita e di esperienza spirituale, un vero mondo ispirato dalla fede e dal coraggio di scelte radicali, chiarendo conseguentemente la loro ragion d’essere, i loro ritmi, il loro più profondo significato. Un aiuto ai monasteri dunque, che, al di là di un immaginario collettivo che li considera isole più o meno sperdute nella geografia del pianeta terra o luoghi relegati a un passato ormai pressoché arcaico, sono invece vivi e disseminati in molti paesi, risplendendo per l’impegno di tante donne — 38.000 nel mondo, ha precisato il dicastero vaticano — che vivono nella preghiera, nell’ascesi cristiana, nel continuo rinnovamento interiore. Alle monache non credo interessi molto essere comprese, tanto meno omologate o relegate in definizioni che ne ridurrebbero il mistero, giacché di mistero si tratta quando si parla di una vita dedicata all’incontro con Dio indicibile e nascosto e alla sua incessante lode. Eppure la parola della Chiesa ha acceso oggi — forse per brevissimo tempo in una società bombardata ogni giorno da mille informazioni — su questa realtà di vita rivolta al definitivo ultimo. «La comunità del monastero di monache — leggiamo nel documento — posta come città sul monte e lucerna sul lucerniere, pur nella semplicità della sua vita, raffigura visibilmente la meta verso cui cammina l’intera comunità ecclesiale (ma anche umana) che avanza sulle strade del tempo con lo sguardo fisso alla futura ricapitolazione di tutto in Cristo». Fine della Cor Orans è confermare per il nostro tempo le profonde radici cultura- li dei monasteri di clausura ma anche spingerli in avanti aprendo per loro nuovi orizzonti di aggiornamento e di comunione. I commenti della stampa hanno messo in risalto alcune prospettive del documento, quale ad esempio l’apertura all’uso dei moderni mezzi di comunicazione, che di fatto non è una novità assoluta in quanto essi sono già presenti nei monasteri, oppure si sono soffermati su aspetti giuridici inerenti la loro autonomia che deve corrispondere a una vera capacità di testimonianza di valori rispondente alle domande degli uomini e delle donne di oggi. In realtà, pure affrontando diverse questioni particolari, l’anima del documento è aiutare i monasteri di clausura a camminare sempre più insieme inserendosi, nelle forme loro consone, nella corrente di relazioni e collaborazione che oggi investe il vivere umano. Crescere insieme, attraverso organismi specifici e commisurati — le Federazioni — ed eventi formativi che vedano le contemplative impegnate ad approfondire e a progredire nella maturazione della loro fisionomia di oranti, sempre nel rispetto della loro scelta di vita claustrale. Alla clausura è dedicato un intero capitolo, il terzo del documento, che mentre ricorda alle monache i contenuti e i significati di questo mezzo quanto mai idoneo a favorire il raccoglimento e la preghiera, scopre agli occhi dei lettori eventualmente interessati un orizzonte di grande ampiezza umana e spirituale. Clausura non significa infatti chiusura al mondo, ma più propriamente luogo privilegiato in cui lo sguardo sull’umano si affina scoprendo i significati più profondi del vivere. Guardando alla vita di queste sentinelle che, come amava dire Giorgio la Pira, forzano l’aurora a venire, perché non sentirle come sorelle che con la loro vita, al di là delle parole, risvegliano la profonda nostalgia di Dio che abita nel cuore di ogni uomo e di donna del nostro come di ogni tempo? La clausura, «spazio di vita domestica, familiare, all’interno del quale la comunità vive la vita fraterna nella sua dimensione più intima», nelle diverse forme attuative previste dal documento ha in fondo una missione speciale non a tutti nota, quella di evocare la cella del cuore in cui ciascuno è chiamato a incontrare Dio, provocando in modo pacifico e silenzioso a un viaggio interiore che guidi alla scoperta della verità di se stessi e dei significati più profondi e autentici della vita umana.
Fine della «Cor Orans» è confermare per il nostro tempo le profonde radici culturali dei luoghi di clausura ma anche spingerli in avanti aprendo per loro nuovi orizzonti