Dallapiccola in 6.000 passi
Il Maggio gli ha dedicato un vero e proprio festival (il clou l’opera del 19 giugno) Il compositore tutti i giorni andava in Conservatorio lungo vari percorsi, che lo ispiravano...
una ferrea costanza nella vita.
La scoperta di Firenze, specie nei primi anni, è una iniziazione alla storia e alla bellezza della città. «Nel maggio del 1922 — avevo 18 anni — arrivai a Firenze. Per noi Dante non era soltanto Il Poeta: era un simbolo». Un culto che lo segue nel trasferimento dall’Istria, con le epigrafi dantesche poste sui palazzi fiorentini lo guidano alla scoperta della sua nuova città: Dante era primo nel suo quotidiano commercio con la parola. La riflessione sul sommo poeta era incessante: Dallapiccola si chiedeva per esempio se il supremo «Iri da Iri» (Paradiso, XXXIII, 118) non fosse passibile di un’interpretazione contrappuntistica. Dante, a cui tutto tende, imprescindibile e solida radice della propria italianità: una fortezza culturale che il compositore aveva imparato ad amare grazie a suo padre, e che ora ritrova a Firenze, dove arriva anche grazie a quel preciso richiamo.
Al mattino, dalla casa di via Romana 34 in direzione del Conservatorio di Musica, cioè piazza San Marco, i passi lo conducono dapprima nella sua chiesa di San Felice in piazza per una sosta sotto la Croce giottesca, dove immancabilmente il suo dubbio teologico fa capolino con le parole di Goethe: «Ist’s möglich?» (È possibile?), poi costeggiando Palazzo Pitti e il suo bugnato. Quindi, dopo aver percorso via Guicciardini, l’arrivo a Ponte Vecchio dove al centro, sotto le arcate, trova la sua prima lapide dantesca. Chissà se, fermandosi a quella lapide non abbia qualche volta ripetuto «How life begins», come aveva esclamato a Trieste scoprendo il Trattato di Armonia di Arnold Schönberg.
Da questo punto, ogni giorno un percorso diverso, di volta in volta mutato a seconda delle tante lapidi dantesche da osservare sulle case-torri che costellano il centro della città, così tante da costringere il viaggiatore a tenere la testa all’insù. Una sosta sull’Arno e poi verso Por Santa Maria e Palazzo Vecchio («Non dimenticherò mai il brivido che mi scosse quando, nel cortile di Palazzo Vecchio, del tutto inaspettato, i miei occhi furono attratti da una lapide»). Da piazza Signoria a piazza San Firenze il percorso è breve, ideale per proseguire verso via del Proconsolo fino a piazza del Duomo e piazza San Giovanni. Ma anche un passaggio da via de’ Cerchi, da piazza de’ Cimatori o dalla Casa di Dante, ma specialmente da via del Corso a mangiare uno dei sei giornalieri bomboloni alla crema (nei primi anni fiorentini tanta era la fame e poche erano le risorse economiche, che quello era l’unico pasto dall’alba al tramonto), per finire a via Calzaiuoli e via degli Speziali prima di arrivare a piazza del Duomo e piazza San Giovanni. E ancora prendere Borgo SS. Apostoli, via Tornabuoni, via Strozzi, via Roma, qualche volta deviando lontano verso Borgo de’ Greci all’Arco di San Pierino (altro luogo buono per i bomboloni), oppure verso via de’ Lamberti e via dell’Oche e via dei Tavolini, e convergere come sempre a piazza San Giovanni, da cui una linea retta si diparte con via Cavour, da dove si devia in via degli Alfani e si arriva alfine all’amato Conservatorio.
Lo scandire regolare dei passi — e del tempo — lo portano qua e là, fra le possibili varianti del giornaliero percorso di 6000 passi, prima di arrivare a piazza San Giovanni dove, come un’epifania, compare sulla facciata della Misericordia la lapide della preghiera da lui più amata, quella in cui Dante celebra le parole di san Bernardo per dare inizio al XXXIII canto del Paradiso. Terzine fatte di ossimori in quella che è forse la preghiera più bella che mai uomo abbia scritto: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio».
Al pomeriggio, invece, o sul far della sera, c’è un percorso più breve attorno a casa, da ripetere più volte per comporre l’ora esatta della passeggiata, che dalla casa di via Romana arriva alla chiesa di San Felice in Piazza e dunque a via Maggio, giù per via di Santo Spirito fino alla straduzza di via de’ Coverelli che s’affaccia sull’incanto di Lungarno Guicciardini, da dove per piazza Frescobaldi si torna a casa. E si ricomincia.
*Presidente del Centro Studi Luigi Dallapiccola
Come un metronomo Ogni giorno contava le sue falcate con calcoli utili a costruire la serie dodecafonica che in quel periodo gli occupava la mente per i suoi brani