Corriere Fiorentino

Mina, il racconto del dramma

«Lei era già stata venduta in sposa a 13 anni: mi chiese aiuto in chat e così la liberai»

- Marotta

«Voleva essere libera, libera di studiare e di scegliere la persona da amare. Non potevo lasciarla a un destino di sposa bambina». Così Antonio ha raccontato come ha aiutato una ragazzina rom di 13 anni, promessa in sposa e venduta per 15 mila euro, a liberarsi. Lo ha fatto nell’aula bunker dove si celebra il processo al padre della ragazzina.

«Voleva essere libera, libera di studiare e di scegliere la persona da amare. Non potevo lasciarla a un destino di sposa bambina». Antonio scandisce le parole con inflession­e siciliana nell’aula bunker dove si celebra il processo al serbo originario di Obilic, accusato di aver segregato, promessa in sposa e venduto per 15 mila euro la figlia di appena 13 anni. È lui che, tre anni fa, ha raccolto, sulla chat di un gioco online, la richiesta di aiuto di quella piccola, salvandole la vita. Il ragazzone di 18 anni dal volto di bambino parla lentamente dietro un paravento, per ragioni di sicurezza. A una manciata di metri, è seduto, al fianco del difensore Marco Ammannati l’uomo che la Procura ritiene il padre –padrone e che ieri avrebbe voluto abbracciar­e Antonio («è il fidanzato di mia figlia»). Ma il presidente Raffaele D’Isa è stato categorico: non si può.

Nel 2015 si sono conosciuti nella chat di un gioco, sono diventati amici senza mai vedersi e poi si sono innamorati. Lui vive ancora in Sicilia, dove studia. Lei, dopo l’arresto del padre nel settembre 2017, ha interrotto i contatti con la madre e i fratelli, vive in una comunità segreta e proprio per non incontrarl­i non si è voluta costituire parte civile al processo che si è aperto un mese fa. È ritornata sui banchi di scuola («con ottimi voti» spiega l’assistente sociale in tribunale) e progetta ancora di andare a Disneyland. «Giocavamo a Clash of Clans, il mio nickname era Nino, il suo Mina — racconta Antonio — Per mesi abbiamo chattato, scambiando­ci consigli sulle strategie per vincere. Poi ha iniziato a raccontarm­i della sua famiglia, quindici persone tra genitori, fratelli, sorelle e nipoti. Ogni volta, però, che le proponevo di sentirci al telefono lei con una scusa rifiutava».

Nel dicembre 2015, «a sei mesi dal nostro primo incontro virtuale — ricorda il ragazzo — Mina mi chiese aiuto su quella stessa chat nata per gioco. Raccontò che da due anni era stata promessa in sposa e venduta per 15 mila euro a un ragazzo kosovaro e presto sarebbe partita per la Francia». Il fidanzato la voleva illibata. «Per questo era stata segregata in casa dal padre che le aveva proibito di ritornare sui banchi di scuola e di frequentar­e le amiche. Trascorrev­a le sue giornate accudendo i nipotini, pulendo la casa. Usciva solo per la spesa al supermerca­to e comprare le medicine per la madre in farmacia, ma sempre in compagnia del fratello».

La vita in quella casa era un inferno, volavano spesso minacce e botte: «Anche senza un apparente motivo — spiega Antonio — Mina raccontava che il padre la picchiava, colpendola con una scarpa». Unica concession­e del capofamigl­ia, un vecchio telefono, senza scheda Sim. «Con quel cellulare — dice Antonio — Mina avrebbe potuto solo giocare. In realtà, era riuscita ad agganciare in casa la rete del fratello e, nelle rare uscite, una wifi libera, così da poter chattare con me». Voleva ribellarsi a quella «tradizione che impone ai genitori di cedere per denaro la figlia all’età di 14 anni. Voleva essere libera di decidere del suo futuro. Aveva anche supplicato la madre di non mandarla in Francia, ma era stato tutto inutile».

La richiesta di aiuto di Mina sconvolse Antonio. «Fino ad allora le mie giornate erano scandite da scuola e calcio. Dopo quella chat — racconta il ragazzo — la mia vita cambiò. Non potevo lasciarla sola». Antonio cominciò a chattare con Mina mattina e sera. «Le auguravo la buonanotte, con il timore di non ritrovarla in chat al risveglio. In classe sfuggivo al controllo dei prof per mandarle messaggi. Poi ritornavo a casa e mi chiudevo in camera per chattare con lei fino alle 4 del mattino. Rischiavo di perderla per sempre, così le proposi di fuggire insieme. Lei aveva paura del padre: disse che era pericoloso e poteva raggiunger­ci ovunque». Finché una mattina, nel luglio 2015, Mina scrisse ad Antonio: «Aiutami manca poco per la partenza». Lui si confidò con la fidanzata del fratello. «Si spacciò per mia sorella al telefono con l’associazio­ne Artemisia: c’è una ragazza in pericolo, bisogna salvarla». Così Mina è nata un’altra volta.

Il padre la picchiava, le davo la buonanotte con l’ansia di non ritrovarla al mattino

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La storia Il 15 settembre del 2017 il Corriere Fiorentino si occupò del dramma di Mina la bambina data in sposa e venduta

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