E Mosè si ferma a Carrara
Visita al Carmi di Villa Fabbricotti dedicato a Michelangelo e al marmo All’ingresso la riproduzione del capolavoro, dentro bozzetti, sculture, disegni, dipinti
Quando il Mosè viene liberato dal fitto imballaggio che lo proteggeva, e posizionato nella sua nicchia, all’ingresso del museo Carmi di Carrara, il museo dedicato a Michelangelo e al suo rapporto con la città del marmo, gli occhi, accecati dalla luce del bianco, si sono persi nella maestosità della fedele copia in scala 1:1, realizzata dall’Accademia di Belle Arti, sul calco originale del 1854.
Il Mosè è sicuramente l’opera più importante del Carmi che i curatori del museo hanno voluto davanti alle porte di villa Fabbricotti, con lo sguardo rivolto alle montagne tanto amate dal maestro Michelangelo.
Alla vigilia dell’apertura del Carmi, per le sale c’è ancora polvere bianca di gessi, plastiche e cartoni a protezione delle opere, pannelli da appendere e decisioni da prendere, un working in progress concitato, per l’inaugurazione del museo (prevista domani) fortemente voluto dalla città di Carrara, realizzato dall’amministrazione di Francesco De Pasquale, grazie ai contributi pubblici di Governo e Regione Toscana, che hanno finanziato il restauro della villa e del parco che lo circonda.
La visita inizia da qui: il parco della Padula attorno alla villa-museo, otto ettari di terreno, con le caratteristiche di un giardino all’inglese, prati, alberi di pregio e il busto del fondatore, Domenico Andrea Fabbricotti, famoso commerciante di marmo di Carrara, che all’inizio l’attrezzò come podere della sua casa padronale. Negli anni Trenta del Novecento la famiglia Fabbricotti fu colpita dalla crisi dell’industria del marmo con una catena di fallimenti e la perdita di gran parte dei beni. Soltanto negli anni Settanta cominciò il recupero del parco e la riqualificazione della Villa, che possiamo dire sia durata fino ad oggi. Si spalancano le porte del museo e ti accoglie il Mosè, poi si aprono le prime stanze tematiche, pensate per le mostre temporanee e due esposizioni intitolate: I gessi dello studio Lazzerini, e Carrara 1800-1850. Maestri Studenti in viaggio verso Roma. Qui si raccontano le storie di una dinastia di scultori, attivi a Carrara dal 1670, che crearono una raccolta pregiata di oltre duemila opere, oggi adoperate come modelli di studio per gli allievi dell’Accademia. Il primo piano del museo è interamente dedicato a Michelangelo e Carrara: un’ala vedrà indiscusso protagonista il David e la sua storia, a partire dal gigantesco blocco che arrivò a Firenze, probabilmente dal bacino marmifero di Fantiscritti, fino ad un suo moderno ologramma, tutto da scoprire. Documenti, certificati, bozzetti, disegni, contratti, itinerari per arrivare alle cave, una storia tormentata, come fra due amanti lontani: «Volendo io una quantità di marmi, non potete lavorare per altri che per me», scriveva Michelangelo in attesa di poter scegliere la materia prima per realizzare le sue opere. La prima volta che venne a Carrara era il 1497 per scegliere il marmo della Pietà e le cronache cittadine lo ricordano come un uomo distinto, in sella ad un cavallo grigio, con in tasca soltanto 15 ducati e 3 carlini, che chiese di incontrare lo scalpellino Matteo Cuccarello, il suo primo fornitore di marmo apuano. Tornò a Carrara nel 1505, dopo che Papa Giulio II gli assegnò il gravoso compito di scolpire il gruppo di statue per il suo monumentale sepolcro. E Michelangelo scrisse: «Poiché il primo anno d’Julio, che m’allogò la sepoltura, stetti otto mesi a Carrara a lavorare i marmi». Visite e soggiorni, atti notarili, lettere e citazioni, relazioni d’affari non sempre andate a buon fine, l’affitto di una casa in piazza del Duomo: in totale otto, secondo alcuni storici dodici, passaggi a Carrara, di cui uno memorabile. Era il 1525 e Michelangelo pone la sua firma, come poi fece Canova, sotto un bassorilievo di epoca romana, scolpito su una parete di roccia, in una cava di Carrara (poi chiamata cava di Fantiscritti), raffigurante tre divinità, i «fanti» con sotto di esse una dedica in latino «scritti». L’incisione viene considerata autentica e il bassorilievo si trova al Carmi.
Michelangelo e il marmo: temeva sempre che il blocco scelto potesse frantumarsi come una zolletta di zucchero. «Anche il miglior blocco può nascondere mille insidie», scriveva nei suoi appunti di viaggio. Cercava purezza, perfezione, per questo appena firmava un contratto partiva in sella al suo cavallo alla volta delle Cave di Carrara e si arrampicava sulle vette assieme ai cavatori, di cui poi seguiva le fasi dell’estrazione. La rappresentazione iconografica per antonomasia della presenza di Buonarroti alle cave è senz’altro il dipinto del 1864, olio su tela, di Antonio Puccinelli, prestato al Carmi dalla collezione della Provincia di Massa Carrara. «Un progetto promosso dal Comune di Carrara, realizzato con il contributo dell’Associazione MetaMorfosi e della Fondazione Casa Buonarroti e in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Carrara — dice l’assessore alla cultura Federica Forti — che speriamo sia una occasione per i cittadini di Carrara. L’apertura del parco e della villa dimostrano il nostro rispetto nei confronti della cultura e della cittadinanza».
L’apertura di tutto il complesso dimostra il nostro rispetto nei confronti della città e della cultura