Al «Corriere Fiorentino» il ricordo dei colleghi con le figlie della giornalista
Il ricordo al «Corriere Fiorentino», con le tre figlie e i compagni di lavoro di una vita Nardella: voce libera Oggi l’addio al cimitero ebraico
Si terranno oggi alle ore 16, a Firenze, al cimitero ebraico di via di Caciolle, le esequie di Wanda Lattes. La grande giornalista fiorentina è stata ricordata anche nei messaggi arrivati da istituzioni, e non solo. «Ho appreso con dolore della scomparsa di Wanda Lattes, giornalista eccellente e donna dedita da sempre all’impegno civile: a Firenze mancheranno il suo rigore e la sua voce libera — ha detto il sindaco, Dario Nardella — Alla famiglia le condoglianze dell’amministrazione e della città». Per il governatore, Enrico Rossi, era «testimone della storia, anche drammatica, del Novecento, non solo una apprezzata giornalista e scrittrice. È stata una voce tra le più autorevoli nel giornalismo toscano e nazionale». «Se ne va una voce autorevole — ha dichiarato la senatrice Rosa Maria di Giorgi (Pd) — Wanda ha sempre mantenuto quella passione che ne ha fatto una figura centrale del giornalismo e della cultura del nostro Paese». Il cordoglio del mondo del giornalismo espresso dalla Associazione Stampa Toscana e dal suo presidente, Sandro Bennucci: «Wanda è stata una collega che ha onorato la professione e, con le lacrime agli occhi, siamo vicini alle figlie, Fiamma, Simona e Susanna. Ha lavorato per il Corriere della Sera e nel Corriere Fiorentino, che ha contribuito a fondare, dove è stata fino a un istante prima di spegnersi». E l’Ordine dei Giornalisti toscano, in una nota, aggiunge: «La collega Wanda Lattes è stata una delle prime giornaliste in Italia e firma di punta di importanti testate. È stata esempio per generazioni di giornalisti». Dall’Associazione Italia-Israele dell’Alto Adige, il presidente Alessandro Bertolfi, ha dichiarato: «Fu colpita dalle leggi razziali del 1938, partecipò alla Resistenza, è stata per decenni una delle giornaliste più apprezzate e amate. Insieme a tutte le Associazioni Italia-Israele, esprimo le più sentite condoglianze alla famiglia».
L’indomita. Difficile trovare aggettivi migliori per «la Wanda». Perché Wanda Lattes, decana dei giornalisti fiorentini scomparsa sabato a 96 anni, era così prima di tutto e tale è rimasta fino alla fine. Col suo giornale che guai a non farglielo avere ogni mattina, bussola imprescindibile. E così l’abbiamo ricordata ieri mattina nella sede del Corriere Fiorentino, ognuno a ricucire il suo pezzetto di strada fatto insieme a lei.
«Qualche volta Wanda si arrabbiava — ha detto il direttore Paolo Ermini, ricordando le tante volte alla riunione del mattino — Le succedeva ogni volta che vedeva sacrificati gli interessi della città. La sua partecipazione alla riunione non era mai formale, per lei era come un pieno di benzina. Era una donna a tratti ruvida, a tratti dolce. Sempre sincera, però. Certamente coraggiosa. Volava vivere, non sopravvivere».
Niente toni lugubri, non li avrebbe accettati. L’emozione quella sì, quella che fa rima con passione, sua cifra di tante battaglie, scontri e confronti. Quelli che cercava con chiunque, direttori, collaboratori, cronisti. Per tutti l’inizio era sempre lo stesso perentorio interrogativo: «E te chi sei?».
Insieme alla famiglia, in testa le tre figlie Fiamma, Susanna e Simona, c’era il presidente dell’Associazione Stampa Toscana, Sandro Bennucci: «Quando lo chiese a me — ha raccontato — trovandomi nella stanza dell’allora capo dello sport de La Nazione, Giordano Goggioli, le risposi: “Non lo so neanche io”. Ero un ragazzino, il nostro rapporto è durato 50 anni». C’erano altri colleghi di via Paolieri, Maurizio Naldini col suo osservatorio privilegiato: «Eravamo vicini di casa, 100 metri di distanza appena, ogni volta che ci trovavamo per strada mi interrogava sul nostro mondo e quando non sapevo rispondere era lapidaria: “Non sai proprio nulla”».
Per Pierandrea Vanni la lezione è stata quella del dialo- go: «Sapeva che ero un monarchico, nulla di più distante da lei dopo le leggi razziali. Nei miei confronti usava l’ironia, ma cercava di entrare in contatto — sempre curiosa — con idee tanto diverse dalle sue». Stefano Sieni l’ha presa a modello per chi la segue nel mestiere di cronista «soprattutto in un momento come questo in cui il giornalismo “cane da guardia” serve più che mai». L’ex direttore del
Giornale della Toscana, Riccardo Mazzoni, ha raccontato delle telefonate scherzose: «Quando conobbi Oriana Fallaci mi diceva: “Come hai fatto a innamorarti di quella pazza? Non mi vuoi più bene”».
La Wanda graffiava, eccome, ma poi c’era subito la carezza: come quando — lo ha ricordato Alessandra Bravi — diceva a lei, giovanissima cronista agli inizi del Corriere Fiorentino: «Sei verde, devi truccarti e pettinarti». O quando le telefonate quotidiane a Lorella Romagnoli si trasformavano in un terzo grado: «Che fai oggi? Chi scrive? Perché non mandi me a quella conferenza stampa? È importante, bellina, la faccio meglio io». La fase due del «Tu chi sei?» era, parola di Edoardo Semmola, «A te chi ti comanda?», di fronte alla risposta pronta: «Tutti», la Wanda era ancora più pronta: «Pensavo peggio». La cadenza napoletana di Antonio Montanaro le ricordava gli anni trascorsi sotto il Vesuvio, riportando alla memoria questa o quella parola in dialetto.
Ma era l’attualità la sua malattia. Ogni qualvolta si trovava in Israele squillava il mio telefono: «Figlio di un cane, non mi chiami mai. Io sono qui in campagna, mi sembra di stare a Borgunto — che per lei che Fiesole la guardava da casa, ma con i piedi ben saldi in città, era sinonimo di remoto — dimmi che fate al giornale, che succede in città», così non ti restava che cedere e snocciolare i fatti del giorno.
«Per noi l’essere mamma e giornalista non erano due cose distinte — hanno chiuso le figlie — era il giornale a dettare i suoi tempi e quelli di tutta la casa. Guai a ricevere una chiamata nel pomeriggio, a mettere un disco». Una smania, una curiosità, fino alla fine, quando si faceva e faceva domande sulla politica, così fluida e instabile. E lapidaria scuoteva la testa: «Che figuraccia».
Il governatore Una testimone della storia, anche drammatica, del Novecento