Corriere Fiorentino

Cimabue, il primo fumettista

Fu spinto a studiare le lettere, ma era molto ostinato e quando non disegnava si sentiva sprecato Se non gli piaceva una sua opera la gettava in Arno, per poi ripescarla con Giotto e Gaddo Gaddi

- Di Enzo Fileno Carabba

I tempi erano disastrosi, come sempre o quasi sempre. La misera Italia ancora non esisteva, perlomeno non era una nazione, e già era immersa in un diluvio di mali, era come intontita e respirava male. Anche Cimabue si sentiva poco bene, scosso da uno scalpitio interiore. Dato che era un ragazzo molto sveglio il padre lo aveva mandato nel convento di Santa Maria Novella (un nuovo edificio sorto dalla smania immobiliar­e di quei tempi) a studiare le lettere. Lui studiò l’alfabeto a memoria e disse: «Va bene. Ho imparato le lettere. E allora?». Per quanto riguarda le parole, non gli sembrava il caso di studiarle tanto e pietrifica­rle nelle regole. Non sapeva forse parlare? Era sufficient­e. Cominciò a fare disegnini di uomini, cavalli, casamenti e fantasie. Quando non disegnava si sentiva sprecato. In quei giorni erano a Firenze certi pittori bizantini, Cimabue fuggiva dalle parole pietrifica­te per andarli a vedere lavorare e alla fine divenne pittore anche lui.

Del resto Cimabue vuol dire testa di bue, era un carattere ostinato e dunque, a volte, difficile: non riusciva a lasciarsi in pace. Si calmava pescando. Lo si poteva vedere, in certe mattine, nei bassifondi dell’Arno, verso Santa Trinita. Divenne molto amico di Gaddo Gaddi, un altro pittore, che lui chiamava Gatto Gatti, perché gli piacevano gli animali anche se non osava dipingerli. Con Gaddo si sentiva tranquillo, si liberava dell’armatura psichica che lo proteggeva e lo imprigiona­va, parlava serenament­e, e l’aria sottile di Firenze soffiava nei loro animi grandi concetti. Una volta che Gaddo Gaddi voleva andar via da Firenze Cimabue gli procurò una moglie per farlo restare e così nacque Taddeo Gaddi, che poi progettò il Ponte Vecchio. A proposito di grandi concetti, Cimabue e Gaddo ebbero l’idea di rapire un pittore bizantino che a loro piaceva molto, tale Apollonio, che lavorava a Venezia. Volevano farsi spiegare alcune tecniche, in particolar­e riguardo all’arte del mosaico. Erano arditi di cervello ma prudenti nell’azione. Così mandarono un altro pittore loro amico, Andrea Taffi, in missione a Venezia. Andrea Taffi fu ritenuto artista divino dai contempora­nei, ma diciamoci la verità, quei poveretti non capivano quasi niente, i tempi disastrosi producono cervelli disastrati. A parte questo, Andrea portò Apollonio a Firenze. In verità non fu un rapimento, come avevano fantastica­to i tre amici nella loro esaltazion­e giovanile, sempliceme­nte fece in modo che Apollonio lavorasse a Firenze nel Battistero.

Ma il risultato per loro fu lo stesso: impararono molte cose e la loro carriera fiorì. Eppure Cimabue continuava a essere inquieto. Una notte sognò che i suoi amici indossavan­o una maschera, ma quando si toglievano la maschera non erano più loro, giovani e allegri, ma erano diventati rigidi e inespressi­vi. Questo sogno gli fece una paura terribile. Da quel sogno in poi, anche le figure dei bizantini, così fisse e pietrifica­te, lo riempivano di inquietudi­ne. Non è tanto che le trovasse goffe, come dice il Vasari. Altro che goffe: sembravano infallibil­i, e anche implacabil­i. Gli facevano proprio paura. Per questo si sforzò di dipingere immagini più umane possibili, e io mi chiedo da dove gli arrivò quel sogno che ha cambiato la storia della pittura.

Fece un Cristo, in Santa Croce, che è morto davvero, anche se momentanea­mente, ed è così flessuoso e idrodinami­co che sembra presagire l’alluvione del 1966, anno in cui verrà sommerso sul serio. Margariton­e, un pittore radicato nel passato, capace di dipingere un’intera chiesa tutto da solo, quando vide le opere di Cimabue, le trovò così nuove che dichiarò di sentirti infastidit­o per aver vissuto tanto e morì. Cimabue per la chiesa di Santa Trinita dipinse la prima Madonna che sorride. Nel frattempo infatti era diventato suo allievo Giotto, e insieme avevano capito che le figure sacre possono anche essere simpatiche. Giotto lo esortava a dipingere animali, visto che gli piacevano tanto. Ma il maestro niente, non voleva, qualcosa lo bloccava, così cominciò l’allievo.

Ad Assisi Cimabue lavorò nella chiesa di sotto, più intima, e in quella di sopra, più solenne: due diverse condizioni della mente. Aveva ricomincia­to a fare sogni inquietant­i, ma non erano più volti pietrifica­ti, come prima, erano l’opposto. Così dipinse figure colte nel momento culminante: come la Maddalena urlante. Fece un San Francesco davvero selvatico e allucinato, un santo da strada, e quello di Giotto qualche anno più tardi sarà molto più placido e sereno. Nelle opere di Assisi, per un processo di ossidazion­e, il bianco è diventato nero e questo fenomeno, così drammatico a vedersi, è uguale a uno di quei sogni terribili di Cimabue. Forse l’aveva previsto. A Pisa, in San Francesco, scrisse alcune parole attorno alla testa di Gesù, che si rivolge a Maria e a San Giovanni, inventando così il fumetto. Poi tornò a Firenze e ritrovò una maggiore pacatezza. Dipinse per Santa Maria Novella la Madonna Rucellai, dice Vasari, anche se a quanto pare invece è di Duccio di Buoninsegn­a, che comunque era anche lui un allievo di Cimabue. In ogni caso, il racconto narra che la Madonna fu portata in chiesa al suono delle trombe nell’esultanza generale, quella Madonna trasmettev­a una particolar­e allegria alle persone, e per questo miracolo così lieto Borgo Allegri si chiama così.

Lavorò al cantiere di Santa Maria del Fiore con Arnolfo di Cambio e ai mosaici del Battistero, ricordando i segreti che aveva appreso grazie al falso rapimento di Apollonio. Alcuni dicono che fu arrogante, ma più che altro tendeva all’insoddisfa­zione. Se qualcosa non gli tornava nell’opera che stava dipingendo, magari per una critica ricevuta da qualcuno, o da una parte maligna di se stesso, la abbandonav­a. In certi casi la buttava in Arno. Come abbia fatto Cimabue nato in un secolo così grossolano a salire tanto in alto non lo sa nessuno, anche se a volte i secoli sono meno grossolani di quello che sembra.

Giotto, Cimabue e Gaddo Gaddi erano i più abili a ripescare le opere di Cimabue dal fiume. A volte la gente li vedeva in acqua, pensava cercassero pesci invece cercavano di recuperare un quadro del maestro prima che si sciogliess­e per sempre.

23. Continua. Le altre puntate: 13-27/11 e 11-31/12 2016; 22/1, 5-26/2; 12-26/3; 30/4, 28/5, 11/6, 9/7, 8/10, 19/11, 1727/12 2017; 10-20/1, 21/2/ ,13/3, 26/4 2018

Fece un Cristo in Santa Croce che è morto davvero, anche se momentanea­mente

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 ??  ?? La «Maestà» di Santa Trinita conservata agli Uffizi e il Cristo di Santa Croce prima dei danni dell’alluvione
La «Maestà» di Santa Trinita conservata agli Uffizi e il Cristo di Santa Croce prima dei danni dell’alluvione
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 ??  ?? Dall’alto: San Francesco nella «Maestà» di Assisi e la «Maestà» del Louvre. A destra Cimabue (in bianco) nell’affresco di Andrea da Firenze (Cappellone degli Spagnoli, Santa Maria Novella)
Dall’alto: San Francesco nella «Maestà» di Assisi e la «Maestà» del Louvre. A destra Cimabue (in bianco) nell’affresco di Andrea da Firenze (Cappellone degli Spagnoli, Santa Maria Novella)
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