Corriere Fiorentino

Lo spaccio a scuola Il prof: li ho scoperti e loro mi sfidavano

Il caso dei ragazzi denunciati. I primi indizi in classe, l’sos ai genitori. «Per noi è una sconfitta»

- Gori

Nell’istituto profession­ale della provincia di Firenze dove 5 giovani sono stati denunciati per spaccio nei bagni della scuola parla il professore che ha tentato di fermarli.

Un ragazzino spunta dal portone con la bandana tirata fin sopra il naso, come facevano i banditi del Far West. Un babbo va a prendere il figlio e lo sgrida nel cortile, «ora lo vedi, questa è la volta che la fai finita sul serio», ma il ragazzo non lo ascolta. Fuori, due coetanei fanno le «impennate» sulla moto mentre il gruppone dei compagni li applaude. E alla campanella, la sinfonia è il frastuono delle marmitte truccate. A scuola si gioca a fare i grandi, come spesso succede in adolescenz­a. Ma in un istituto profession­ale della provincia di Firenze qualcuno ha giocato un po’ troppo, è andato oltre. Fino a compiere un reato grave. In cinque, tra i 15 e i 17 anni, sono stati immortalat­i dalle telecamere della squadra mobile di Firenze a spacciare hashish e marijuana nel gabinetto della scuola. Erano sotto inchiesta della Procura per i minori da mesi, ora hanno subito perquisizi­oni, il sequestro dei telefonini con cui gli inquirenti cercherann­o di ricostruir­e la rete dei contatti. Rischiano grosso.

Ma a scuola non è uno choc per nessuno, le panchine del piccolo parco vicino all’istituto sono da anni un punto di consumo pomeridian­o dei giovanissi­mi. E anche chi lo spaccio non l’ha mai visto con i propri occhi, non aveva dubbi: «Mai visto nulla di persona, ma quelli del profession­ale fumano come turchi. Da qualche parte dovrà arrivare...», dice un adolescent­e. Due ragazze fuori dal cancello si fermano a parlare: «All’inizio non ce n’eravamo accorte, l’abbiamo capito quando un professore ha cominciato a farci domande, a indagare...».

Quel professore, al suono della campanella delle due di pomeriggio, non esita neanche un istante a raccontare. «Se sapevo? Diciamo semmai che avevo capito. E ho provato a fermare tutto. Con un solo obiettivo: salvare questi ragazzi». «Qualche mese fa mi sono accorto di strani assembrame­nti in bagno e davanti alla porta, ho cominciato a sospettare che ci fosse qualcosa sotto — racconta l’insegnante — Poi in classe, una mattina a lezione, mi sono reso conto che avevo di fronte dei ragazzini che avevano i classici sintomi di chi aveva appena fumato. Un’altra volnitori, ta, stavo rimprovera­ndo uno studente e lui mi guardava sorridendo, sospirava “eh… eh...”, era assente. Gli urlai: “Ti sei fatto una canna?” E lui sorrise». Poco a poco, il professore comincia a farsi il quadro della situazione, tra chi fuma nel parchetto fuori e chi nel cortile interno. E d’inverno, col freddo, si fuma persino in bagno, dove resta l’odore acre e inconfondi­bile dell’erba. Domanda dopo domanda, conosce i ragazzi, le loro storie, i comportame­nti e i movimenti. E arriva a capire che in bagno si spaccia e anche chi sono gli spacciator­i: «Una volta a uno di loro dissi a brutto muso che sapevo che spacciava, mi rispose beffardo: “Ha le prove?”. Ovviamente non le avevo e non le ho. Ma il mio obiettivo non era arrivare a una denuncia, ma farli smettere. Io ho un ruolo educativo, ho il dovere di cercare di salvare questi ragazzi. Le ho provate tutte, anche chiamando in causa i ge- ma nulla ha avuto effetto».

I protagonis­ti non sono tutti uguali, ci sono i bulletti molto popolari a scuola che hanno un forte ascendente sui compagni, ci sono i ragazzi che vengono da famiglie difficili, c’è chi era già stato sospeso per essere stato beccato a derubare gli altri studenti e chi «ormai temo abbia avviato quella che sarà la sua profession­e da adulto». Ci sono anche situazioni che scuotono la coscienza di un professore che negli anni ne ha già viste di tutte, come quando provò a parlare del problema con una mamma: «Signora, voi genitori dovete darci una mano...». «Ma come faccio? — gli rispose lei — Sono da sola, se dico qualcosa a mio marito, lui come risposta mi picchia a sangue». «Non mi sento di giustifica­re chi spaccia — spiega il professore — ma la società oggi offre poco e ancora meno offre a chi esce da un istituto profession­ale. E i ragazzi non sono stupidi, hanno chiara la percezione delle difficoltà che incontrera­nno. Perciò tendono a vivere il momento, a massimizza­re ogni possibilit­à anche dal punto di vista economico. La difficoltà, per noi adulti che abbiamo a che fare con loro e cerchiamo di correggern­e i comportame­nti, è che non ragionano con un obiettivo davanti, non guardano in prospettiv­a. C’è l’oggi e basta». «L’indagine della magistratu­ra, prima o poi, era inevitabil­e — prosegue il docente — Ma per chi come me ha un ruolo educativo non può che essere una sconfitta: perché questi ragazzi ora saranno tagliati fuori anche da qui, quando io invece ho fatto di tutto per riuscire a trattenerc­eli. E questa non è una scuola come un’altra, qui ci sono i problemi più gravi di un quartiere e di una città: questo è un profession­ale, più in basso non c’è nulla. Quando escludi un ragazzo da qui, quando lo tagli fuori, non ha una scuola peggiore in cui riprovarci, non gli resta più niente. Altrimenti perché mi perderei dietro a un ragazzino che in tutto l’anno non ha ancora voluto ascoltare una sola parola da noi professori? Perché speriamo, almeno in parte, di salvarlo. Perché siamo insegnanti».

Faccia a faccia

A uno ho detto che sapevo che spacciava E lui: «Ma ha le prove?»

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