BASTA RETORICA
Quanto accaduto in un istituto professionale della provincia di Firenze e rivelato dalle telecamere collocate nei bagni si presta a una lettura pessimistica e ad una, si fa per dire, ottimistica. Cominciamo dalla prima. La diffusione delle droghe fra i banchi di scuola non è una novità. Se ne parla di più oggi perché quello che in passato restava in ombra è reso di pubblico dominio da telecamere nascoste o dai video che tanti giovinastri mettono in Rete, senza temere di cadere essi stessi nella rete della giustizia. Chi scrive ricorda le raccomandazioni che quarant’anni fa l’ingegner Giorgio Buti, burbero benefico preside dell’Iti Leonardo da Vinci, prodigava ai professorini di primo pelo: «Non mandate con troppa facilità gli alunni nei bagni, perché non si sa cosa ‘fumano’». O anche: «Non liquidate con una semplice R sul registro il ritardo di un alunno: potrebbe essere stato a spacciare e gli fornireste l’alibi». Anche la giustizia a volte ci metteva del suo. Poteva capitare che a un ragazzo arrestato per spaccio fosse concessa la libertà provvisoria per poter frequentare le lezioni con gli altri ragazzi, potenziali clienti.
Oggi però la situazione si è incancrenita, un po’ perché la subcultura dello «sballo», mal combattuta nei locali, si è spostata in molte aule, un po’ perché a volte dai «progetti» finanziati per contrastare le tossicodipendenze escono messaggi contraddittori. Quando uno psicologo spiega a una classe che esistono molte forme di dipendenza, e che quella da droga è una fra le tante, c’è il rischio che gli alunni capiscano non che il tabagismo costituisce un pericolo, ma che «farsi» non è più pericoloso di altre dipendenze.
Prime vittime sono gli insegnanti, costretti a fare i conti in classe con comportamenti riconducibili all’uso di sostanze psicotrope: non è da escludere che molti episodi di bullismo finiti su internet abbiano avuto come protagonisti alunni sotto l’effetto di droghe.
Dinanzi a questa realtà urgono un’informazione responsabile, non improntata alla retorica del «vietato vietare», ma all’occorrenza anche interventi repressivi, che prescindano dalla preoccupazione di allarmare l’«utenza» pregiudicando le iscrizioni. I panni sporchi non si lavano in famiglia, con buona pace di certi presidi che, rifiutando l’ingresso dei carabinieri cinofili, sembrano temere più i cani poliziotto dei bipedi.