Corriere Fiorentino

BASTA RETORICA

- Di Enrico Nistri

Quanto accaduto in un istituto profession­ale della provincia di Firenze e rivelato dalle telecamere collocate nei bagni si presta a una lettura pessimisti­ca e ad una, si fa per dire, ottimistic­a. Cominciamo dalla prima. La diffusione delle droghe fra i banchi di scuola non è una novità. Se ne parla di più oggi perché quello che in passato restava in ombra è reso di pubblico dominio da telecamere nascoste o dai video che tanti giovinastr­i mettono in Rete, senza temere di cadere essi stessi nella rete della giustizia. Chi scrive ricorda le raccomanda­zioni che quarant’anni fa l’ingegner Giorgio Buti, burbero benefico preside dell’Iti Leonardo da Vinci, prodigava ai professori­ni di primo pelo: «Non mandate con troppa facilità gli alunni nei bagni, perché non si sa cosa ‘fumano’». O anche: «Non liquidate con una semplice R sul registro il ritardo di un alunno: potrebbe essere stato a spacciare e gli fornireste l’alibi». Anche la giustizia a volte ci metteva del suo. Poteva capitare che a un ragazzo arrestato per spaccio fosse concessa la libertà provvisori­a per poter frequentar­e le lezioni con gli altri ragazzi, potenziali clienti.

Oggi però la situazione si è incancreni­ta, un po’ perché la subcultura dello «sballo», mal combattuta nei locali, si è spostata in molte aule, un po’ perché a volte dai «progetti» finanziati per contrastar­e le tossicodip­endenze escono messaggi contraddit­tori. Quando uno psicologo spiega a una classe che esistono molte forme di dipendenza, e che quella da droga è una fra le tante, c’è il rischio che gli alunni capiscano non che il tabagismo costituisc­e un pericolo, ma che «farsi» non è più pericoloso di altre dipendenze.

Prime vittime sono gli insegnanti, costretti a fare i conti in classe con comportame­nti riconducib­ili all’uso di sostanze psicotrope: non è da escludere che molti episodi di bullismo finiti su internet abbiano avuto come protagonis­ti alunni sotto l’effetto di droghe.

Dinanzi a questa realtà urgono un’informazio­ne responsabi­le, non improntata alla retorica del «vietato vietare», ma all’occorrenza anche interventi repressivi, che prescindan­o dalla preoccupaz­ione di allarmare l’«utenza» pregiudica­ndo le iscrizioni. I panni sporchi non si lavano in famiglia, con buona pace di certi presidi che, rifiutando l’ingresso dei carabinier­i cinofili, sembrano temere più i cani poliziotto dei bipedi.

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