Quel villaggio di legno e stracci, lì da trent’anni
Il Poderaccio dagli anni ‘90 ospita tante etnie. I tentativi di sgomberarlo andati a vuoto
Le baracche in legno, la moquette per terra, la televisione sui mobili, i letti sovraffollati. Fuori, i vestiti stesi ad asciugare, l’odore di fritto, le carcasse d’auto abbandonate ovunque.
Si vive così al campo rom del Poderaccio, estrema periferia di Firenze. L’accampamento, regolare e riconosciuto dal Comune, sorge in cima a una collinetta. Esiste dagli anni Novanta. C’è l’Arno a pochi metri, c’è il canile a due passi. E c’è una discarica a cielo aperto accanto. Si trova di tutto: pneumatici, ferraglie, batterie, stracci. Residui degli abitanti ma anche di tanti cittadini che ne approfittano. Nel campo c’è perfino una moschea, dove gli abitanti si recano saltuariamente a pregare. Il capo spirituale è il padre di Bajram Rufat, l’uomo inseguito in auto. Adesso si trova a Skopje, la capitale della Macedonia, dove si era temporaneamente trasferito per assistere al funerale di un familiare.
Complessivamente, abitano al Poderaccio oltre 200 persone, alcuni di nazionalità kosovara, altri macedoni, altri ancora bosniaci, tutti arrivati in Italia vent’anni fa in seguito agli sconvolgimenti politici dell’area balcanica. Tanti bambini, almeno una sessantina, quasi tutti regolarmente iscritti alle scuole elementari e medie del quartiere. Tra gli abitanti, molti lavorano nella logistica e nel facchinaggio. «Qualcuno fa il ladro» sostengono i residenti delle case di via dell’Argingrosso, dove i furti sono all’ordine del giorno, soprattutto nei periodi estivi. Al contrario degli uomini, fuori per quasi tutto il giorno, le donne rom restano al campo, stirano, lavano, puliscono, accudiscono i tanti figli, almeno quattro a testa. E dicono: «A noi non piace vivere qui, vorremmo avere il diritto a una casa come tutti» dicono all’unisono quasi tutti gli abitanti del campo.
Obiettivo di Palazzo Vecchio è il superamento dell’accampamento entro il 2018. Attualmente però, il Poderaccio è ancora in piedi. Passi avanti sono stati fatti, visto che due anni fa furono abbattute casette e roulotte abusive. Nell’occasione, gli occupanti furono trasferiti in strutture alternative. «In questi anni — ha rivendicato il sindaco Dario Nardella in Consiglio comunale — abbiamo dimezzato le presenze (da 450 a 243 persone), con lo sgombero di 34 persone e la demolizione già effettuata di 30 case. Ho fatto personalmente due sopralluoghi al campo per accertarmi delle attività di demolizione: il primo il 26 maggio 2015, il secondo 22 novembre 2016. Credo che prima di me nessun sindaco abbia mai messo piede in quell’insediamento».
Quanto ai fondi investiti, ha proseguito: «Abbiamo speso 391.000 euro di demolizioni e dismissioni, con le nostre sole forze. Sono stati anni nei quali non sono contestualmente mancati i controlli e le denunce che hanno interessato persone di etnia rom. Per quanto riguarda anche la presenza di rifiuti abbandonati e di gestione abusiva dei rifiuti sono state effettuate, nell’ultimo anno e mezzo, tre denunce penali tra cui una nel villaggio di via della Chimera e una in via del Poderaccio».
Tra le pagine più drammatiche del Poderaccio, quella risalente al 2000, quando morì una bambina rom in seguito a un incendio divampato nel campo, tanto che si decise di chiuderlo per costruire al suo posto il nuovo villaggio con casette in legno.
Palazzo Vecchio «Abbiamo speso 391 mila euro di demolizioni Dimezzate le presenze: da 450 a 243 persone»