Le baracche, due famiglie e tanti reati alle spalle
Vivono in baracche all’Argingrosso e negli alloggi popolari. La scintilla una lite tra suocero e genero
Una lite tra famiglie diventata tragedia. Tutto nasce così: uno marito violento, i parenti della moglie accecati di rabbia. Famiglie vendicative, dove i precedenti penali non mancano. Gli sposi si chiamano Manuela e Bajram, si sono conosciuti giovanissimi al campo rom del Poderaccio. Entrambi macedoni, originari da Skopje sono arrivati in Italia nel 1989. Nelle baracche in fondo a via dell’Argingrosso, hanno fatto amicizia, legato da subito. Così il padre di lui decise di farli sposare. Una decisione unanime, a cui nessuno si oppose nonostante entrambi avessero solo 13 anni. Ma nella loro tradizione è la normalità. Il matrimonio fu col rito tradizionale, proprio all’interno del campo. Poi, una volta raggiunta la maggiore età, andarono a registrare quel legame in Comune.
Da quel giorno, sono passati quasi trent’anni, il matrimonio nel frattempo è naufragato, nonostante i tre figli dati alla luce. Lui, Bajram Rufat,
I vicini di via Martini Rubava le bici e le scaricava nel pianerottolo Facevano pure la pipì nelle bottiglie e le lanciavano di sotto Spacciano e urlano a tutte le ore del giorno e della notte
classe 1975, presenta oggi precedenti penali per usura e furto. Ha un carattere difficile, molto. Chi lo conosce, sostiene che faccia uso di alcol e sostanze stupefacenti. Maltrattava la moglie, dicono gli abitanti del campo, la umiliava davanti a tutti, portava le prostitute nel campo. E così ha deciso di divorziare. I due, recentemente, si erano trasferiti nella casa popolare di via Simone Martini. E le cose, in quel palazzo sono diventati subito difficili. Lui dava spesso in escandescenza, come raccontano gli inquilini esasperati: «Rubava le biciclette e le scaricava nel pianerottolo, vivevano in stanze sovraffollate, facevano la pipì nelle bottiglie e le lanciavano di sotto, spacciavano, urlavano a tutte le ore del giorno e della notte».
La scorsa estate, stremata dalla situazione insostenibile, Manuela decide di mollare definitivamente il marito tornando a vivere al Poderaccio dai genitori. Bajram però non si arrende, scontrandosi inevitabilmente con la famiglia di lei. Continua a ubriacarsi, raccontano i suoi conoscenti, si droga, arriva al campo con la musica sparata dalla macchina, minacciando la moglie e i familiari, perfino con i coltelli.
Pochi giorni fa, l’episodio che fa precipitare gli eventi. Il padre di Manuela, Amet Remzi — anche lui con precedenti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, furto aggravato, violenza privata, sfruttamento della prostituzione — schiaffeggia Bajram, che risponde con un pugno violento rompendo un dente al suocero. Da qui si origina la vendetta che porta all’inseguimento. Tutto comincia al parcheggio dell’Esselunga di viale Canova, quando Bajram viene avvistato da Antonio Mustafa, suo cognato e fratello della sposa, anche lui con un precedente per furto aggravato. Antonio viene speronato da Bajram, che si mette in fuga. Così Antonio avverte il padre, che non ci pensa due volte e va a caccia del fuggitivo, insieme al nipote Dehran Mustasfa, cugino della sposa, anche lui con precedenti penali. L’epilogo è tragicamente noto. Al Poderaccio sono ore drammatiche. Il fratello di Manuela, Antonio Mustafa, tiene fisso lo sguardo a terra. Si porta le mani al volto e prova a chiedere scusa: «Siamo disperati, è una disperazione che ci nasce dal profondo, chiediamo scusa». Parole di scuse anche da parte di Dehran, fratello dell’inseguitore finito in carcere: «Chiediamo immensamente scusa ai familiare del giovane fiorentino da parte di tutta la comunità rom». E poi: «Vogliamo prendere le distanze dai comportamenti inaccettabili e incivili tenuti da alcuni soggetti singoli che sono attualmente alla ribalta della cronaca e che rischiano di annullare tutti gli sforzi di cooperazione di questi ultimi anni».