I GOL DEI DESIGNER
Nelle classifiche dei gol più «belli», la categoria che emerge di più è quella dei tiri lunghissimi, che descrivono una grande curva e vanno a segno quasi siano guidati da una mano invisibile: come non ricordarsi, ad esempio, del 4-1 segnato da molto lontano dal rosanero Fabrizio Miccoli nel 2012 contro il Chievo, oppure — per citare l’esempio classico dalla storia della Fiorentina, e forse della Champions League — la rovesciata di Mauro Bressan al quattordicesimo della partita col Barcellona, il 2 novembre 1999? Ancora più meraviglioso, quando il lancio lungo, questo segno nell’aria che sembra trascendere il tempo, nasce dalla battaglia veloce, dalla stichomythía drammatica, e la risolve in un colpo più profondo di quanto ci si aspetti: così come nel caso del 2-0 di Marco Tardelli contro la Germania, nella mitica finale mondiale vinta nel 1982. Per profani e iniziati, vi è un’estetica intrinseca del tiro, che non è soltanto contestuale alla svolta che un gol provoca (e simboleggia) all’interno della partita. La bellezza percepita sconfina nella drammaturgia, nella mimica potente, nell’astrazione del segno tracciato dal pallone, che si fa lento zampillo o freccia, ghirigoro tra le gambe dei giocatori o proiettile inesorabile. La partita è scienza e improvvisazione, architettura ed effimero allo stesso tempo, che si modella sul gesto dei protagonisti in campo come la stoffa sui loro corpi. E nella Firenze che nel 1920 ha visto nascere l’abito tuta ad opera del futurista Thayat, e nel 1947 la prima tuta da sci ad opera di Emilio Pucci, in questa città da dove è partita la macchina potentissima del prêt-à-porter, con le prime sfilate nella Sala Bianca di Palazzo Pitti già nel 1948 (e non solo nel 1951), si riflette ora su capitolo inedito di quella che è stata felicemente definita la «moda per il corpo»: e l’argomento ha una portata ancora una volta planetaria, come lo sport cui è dedicata la mostra Fanatic Feelings, patrocinata dalle Gallerie degli Uffizi con il Comune di Firenze.